MONTREAL - “Dovevo restare in Canada solo un anno, con una borsa di studio post-dottorato. Poi, una cosa tira l’altra, e sono rimasta qui”. Roberta La Piana è docente del Dipartimento di Neurologia e Neurochirurgia della McGill University di Montréal. Ma la sua formazione è italiana: prima come medico in neuropsichiatria infantile all’Università di Pavia, poi all’Ospedale Niguarda di Milano. “Facevo la clinica, ma la ricerca mi mancava moltissimo. Quando sono arrivata qui, ho cominciato a rimpiangere il rapporto con il paziente”, ricorda. Ora invece, anche con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale, ha trovato il giusto equilibrio, sviluppando una linea di ricerca clinica orientata ai pazienti rari.
Dottoressa La Piana, di cosa si occupa qui a The Neuro?
“Come neurologa pediatrica mi sono sempre interessata alle leucodistrofie, malattie genetiche che colpiscono la materia bianca, la mielina, quella sostanza che ricopre gli assoni e consente la conduzione dello stimolo elettrico lungo il sistema nervoso centrale. Nei bambini queste malattie sono relativamente facili da diagnosticare perché sono il tipo più comune in quella fascia di età. Si tratta comunque di malattie molto rare, anche se una in particolare – l'adrenoleucodistrofia – è diventata più nota grazie al film L'olio di Lorenzo. I dati dicono che nei paesi dell’Unione Europea ci sono 1,1 casi su 100 mila nati vivi per ogni singola forma genetica, e secondo la European Leukodystrophy Association ogni settimana nascono circa 20-40 bambini affetti da leucodistrofia”.
Quando compaiono e qual è l’aspettativa di vita dei pazienti?
“Si tratta di condizioni gravi che portano spesso alla morte prima dei due anni. Tuttavia ci sono anche forme a esordio tardivo, con sintomi più lievi, sebbene si tratti pur sempre di pazienti di età media intorno ai 40 anni e con una aspettativa di vita spesso molto ridotta. Per una delle forme in studio attualmente l’aspettativa di vita è di 7 anni dalla diagnosi e conosciamo circa 300 persone affette in tutto il mondo. La cosa interessante è che molte di queste forme ad esordio adulto presentano caratteristiche molto simili a quelle della Sclerosi Multipla (SM), con sintomi motori e cognitivi. Così molti pazienti adulti con queste malattie genetiche ricevono una diagnosi errata, e di conseguenza anche una terapia non adatta. Poiché l’Istituto Neurologico di Montréal – The Neuro – è specializzato nella ricerca sulla SM, qui ho la possibilità di studiare pazienti cui è stata diagnosticata una forma atipica di SM e capire se non siano invece colpiti da leucodistrofia”.

Che tipo di terapia è prevista per queste forme rare?
“I trattamenti sono ancora pochi e rischiosi: uno dei più comuni è il trapianto di midollo osseo. Ma il motivo per cui questo settore è molto interessante e ricco di potenzialità è proprio questo: dal momento che queste forme tardive di leucodistrofia sono così simili alla sclerosi multipla, con il mio gruppo di ricerca stiamo utilizzando queste malattie rare come modello per capire meglio la SM. E viceversa, possiamo utilizzare le conoscenze avanzate che abbiamo sulla SM per applicarle a queste malattie rare. Per esempio, considerando la possibilità di utilizzare per questa popolazione di pazienti alcuni farmaci già disponibili per altre condizioni. Questo è un tema di grande interesse per le aziende farmaceutiche che lavorano sulla SM: quando capiscono che alcuni pazienti potrebbero aver ricevuto una diagnosi errata di SM, vogliono essere sicure che si tratti di leucodistrofia, per evitare di trattare pazienti con farmaci non adatti. In questo senso saper discriminare tra le due malattie è fondamentale. Una diagnosi migliore è il primo passo verso una terapia. Per fortuna la velocità con la quale ci stiamo avvicinando a un trattamento è molto più elevata di quanto avremmo potuto prevedere qualche anno fa”.

E in che modo riuscite a capire se un paziente è colpito dalla forma rara di leucodistrofia oppure dalla sclerosi multipla?
“È un processo lungo e complesso. La diagnosi avviene grazie alla combinazione di tre parametri, quindi con un approccio multidisciplinare. Il primo sospetto viene verificato con la risonanza magnetica, grazie anche ad algoritmi di Intelligenza Artificiale in grado di riconoscere alcuni pattern. In questo ospedale universitario si fanno ricerche rivoluzionarie sull'imaging nella sclerosi multipla, grazie a un dispositivo di risonanza magnetica a sette Tesla, una macchina molto avanzata che consente una risoluzione elevatissima, molto superiore a quella dei normali macchinari usati nella diagnostica per immagini. Il sistema di apprendimento per pattern aiuta quindi a orientare la diagnosi nello step successivo, cioè eseguire delle analisi genetiche, che però sono in grado di giungere ad una diagnosi definitiva solo nel 50% dei casi. Per il restante 50% dobbiamo affidarci alle tecniche di sequenziamento in parallelo, usando il Next Generation Sequencing, che ci dà la possibilità di sequenziare l’intera regione codificante le proteine o l'intero genoma di un paziente. Per questo usiamo anche la “fenotipizzazione inversa”, che consiste nel partire da una diagnosi certa di leucodistrofia ottenuta con la genetica per capire se la risonanza magnetica ci dà informazioni utili a caratterizzarla”.

In che altro vi aiutano i sistemi di IA?
“Nel mio laboratorio, anche grazie all’Intelligenza Artificiale, stiamo per esempio analizzando i dati per identificare geni che causano malattie o variazioni di disturbi precedentemente noti. Purtroppo lavoriamo con numeri molto piccoli, visto che parliamo di malattie rare: la nostra coorte di pazienti comprende più di 70 famiglie, e riceviamo circa 20 nuove richieste di consulenza ogni anno. In questo senso, il primo problema è la limitata disponibilità di dati, e quindi dobbiamo fare molta attenzione ad interpretarli correttamente. L’apprendimento automatico ci aiuta, ma la validazione ultima deve essere di uno specialista umano”.

Si potrebbe immaginare una forma di screening genetico prenatale per le famiglie a rischio?
“Certo, questo è un punto fondamentale. Ma se non miglioriamo la diagnosi, se continuiamo a scambiare le leucodistrofie rare per sclerosi multipla, non soltanto avremo pazienti trattati in modo inappropriato, ma non potremo fare counseling genetico alle famiglie né fare diagnosi prenatale. E questo peserà non soltanto sui singoli pazienti, ma anche sul servizio sanitario nazionale, che qui in Canada, come in Italia, è pubblico e universale”.