Il coronavirus non ha messo la seconda o la terza marcia. Ha messo la tredicesima. La mutazione D614G che nel corso dei mesi si è diffusa dall’Europa in tutto il mondo è infatti fino a 13 volte più contagiosa rispetto al coronavirus originale, quello di Wuhan. La prova è stata fatta in laboratorio – con tutti i limiti degli esperimenti in vitro, che sono diversi dalle condizioni del mondo reale – all’università del Texas a Galveston. La pubblicazione è su Nature. La versione mutata e la versione originaria sono state messe a contatto con cellule umane delle vie respiratorie. Poi è stato fatto il confronto del tasso di infezione nelle due piastre. In particolari condizioni di laboratorio, l’infettività è risultata maggiore fino a 13,9 volte. D614G inoltre si è rivelato stabile anche a temperature più alte, spiegando come mai l’estate non lo abbia fermato in varie regioni del mondo.
Che D614G – osservato per la prima volta in Italia a febbraio – fosse più contagioso non è un’ipotesi nuova. Quel che stupisce è l'entità del salto rispetto alla versione originaria. “Il virus muta a ogni sua replicazione, questo è normale – spiega Massimo Ciccozzi, responsabile del laboratorio di statistica medica ed epidemiologica del Campus Biomedico a Roma, autore dell’articolo che a febbraio descrisse la variante in Italia – ma nel suo genoma si fissano solo le varianti che gli convengono. D614G, che favorisce il contagio, ormai si è diffusa ovunque, Cina compresa. Ed è uno dei motivi per cui oggi l’epidemia galoppa. Con un virus così abile nello sfruttare ogni opportunità, non era il caso di passare un’estate con poche regole”.
Dei ricercatori di Houston, a settembre, hanno calcolato che D614G era presente nel 99,9% dei campioni di coronavirus della città. A marzo era al 71%. Ma non ci sono motivi per ritenere che la mutazione renda inefficace il vaccino. Quando poi i microbiologi di Galveston hanno infettato delle cavie con le due varianti del coronavirus, hanno visto che gli animali con D614G producevano più anticorpi neutralizzanti. L’infezione, inoltre – e anche qui il parallelo fra le cavie e gli uomini può essere fatto con cautela – produceva cariche virali più alte, ma tendeva a fermarsi nella parte superiore delle vie respiratorie, scendendo meno di frequente nei polmoni. Avere più virus in naso e gola è un altro fattore che favorisce la contagiosità.
Lo studio di Nature non arriva a dire che il virus mutato sia meno aggressivo. Ma questa è un’ipotesi che i ricercatori trovano verosimile. Il tasso di letalità di Sars-Cov-2 è oggi intorno all1%, forse anche un po’ più basso: dieci volte più alto dell’influenza, ma dieci volte più basso della prima Sars. “L’interesse del virus è non uccidere il suo ospite, ma adattarsi a esso” spiega Ciccozzi. “Con il tempo, l’evoluzione lo porterà a essere meno aggressivo e a farci ammalare più lievemente. Non sappiamo se questo processo sia già iniziato, ma lo stiamo studiando, ad esempio andando a cercare se gli asintomatici ospitano virus con particolari caratteristiche genetiche”. Nel frattempo, prosegue il ricercatore romano, “dobbiamo essere consci di avere a che fare con un microbo molto infettivo. L’Rt oggi ci dice che ogni positivo ne contagia altri due. Ma è solo una media. Sappiamo in realtà che se partecipiamo a una cena con un amico infetto, tutte le persone che stanno attorno al tavolo senza mascherina sono a rischio, qualunque sia il loro numero”.
Un’altra mutazione, chiamata 20A.EU1, è stata notata dall’università di Basilea. Sembra essere “il virus delle vacanze”: osservata in Spagna all’inizio dell’estate, questa variante si è diffusa da lì in tutta Europa, fino a essere riscontrata nel 40-70% dei campioni in Svizzera, Irlanda e Regno Unito. Questo virus è descritto in un articolo su MedRxiv. Non ci sono però ancora dettagli su una sua maggiore o minore contagiosità.
Che D614G – osservato per la prima volta in Italia a febbraio – fosse più contagioso non è un’ipotesi nuova. Quel che stupisce è l'entità del salto rispetto alla versione originaria. “Il virus muta a ogni sua replicazione, questo è normale – spiega Massimo Ciccozzi, responsabile del laboratorio di statistica medica ed epidemiologica del Campus Biomedico a Roma, autore dell’articolo che a febbraio descrisse la variante in Italia – ma nel suo genoma si fissano solo le varianti che gli convengono. D614G, che favorisce il contagio, ormai si è diffusa ovunque, Cina compresa. Ed è uno dei motivi per cui oggi l’epidemia galoppa. Con un virus così abile nello sfruttare ogni opportunità, non era il caso di passare un’estate con poche regole”.
Dei ricercatori di Houston, a settembre, hanno calcolato che D614G era presente nel 99,9% dei campioni di coronavirus della città. A marzo era al 71%. Ma non ci sono motivi per ritenere che la mutazione renda inefficace il vaccino. Quando poi i microbiologi di Galveston hanno infettato delle cavie con le due varianti del coronavirus, hanno visto che gli animali con D614G producevano più anticorpi neutralizzanti. L’infezione, inoltre – e anche qui il parallelo fra le cavie e gli uomini può essere fatto con cautela – produceva cariche virali più alte, ma tendeva a fermarsi nella parte superiore delle vie respiratorie, scendendo meno di frequente nei polmoni. Avere più virus in naso e gola è un altro fattore che favorisce la contagiosità.
Lo studio di Nature non arriva a dire che il virus mutato sia meno aggressivo. Ma questa è un’ipotesi che i ricercatori trovano verosimile. Il tasso di letalità di Sars-Cov-2 è oggi intorno all1%, forse anche un po’ più basso: dieci volte più alto dell’influenza, ma dieci volte più basso della prima Sars. “L’interesse del virus è non uccidere il suo ospite, ma adattarsi a esso” spiega Ciccozzi. “Con il tempo, l’evoluzione lo porterà a essere meno aggressivo e a farci ammalare più lievemente. Non sappiamo se questo processo sia già iniziato, ma lo stiamo studiando, ad esempio andando a cercare se gli asintomatici ospitano virus con particolari caratteristiche genetiche”. Nel frattempo, prosegue il ricercatore romano, “dobbiamo essere consci di avere a che fare con un microbo molto infettivo. L’Rt oggi ci dice che ogni positivo ne contagia altri due. Ma è solo una media. Sappiamo in realtà che se partecipiamo a una cena con un amico infetto, tutte le persone che stanno attorno al tavolo senza mascherina sono a rischio, qualunque sia il loro numero”.
Un’altra mutazione, chiamata 20A.EU1, è stata notata dall’università di Basilea. Sembra essere “il virus delle vacanze”: osservata in Spagna all’inizio dell’estate, questa variante si è diffusa da lì in tutta Europa, fino a essere riscontrata nel 40-70% dei campioni in Svizzera, Irlanda e Regno Unito. Questo virus è descritto in un articolo su MedRxiv. Non ci sono però ancora dettagli su una sua maggiore o minore contagiosità.