Tumore alla prostata, la terapia la deciderà un'App
di CLAUDIA CARUCCI
A Roma la tre giorni dedicata ai tumori e alle innovazioni tecnologiche in questo campo
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UN'App speciale per capire come trattare il tumore alla prostata. Il dipartimento di urologia della Erasmus University Medical Center (Olanda), sta lavorando alla realizzazione di uno strumento capace di produrre stime accurate sull’aggressività della malattia. Permette di individuare con precisione i pazienti che hanno realmente bisogno di un intervento consentirà di evitare operazioni inutili a coloro che invece non corrono rischi immediati. Così la tecnologia, già sperimentata su 14.380 pazienti, si rivela uno strumento utile per una patologia che colpisce 37 mila italiani ogni anno, provocando 7 mila morti.
E' una delle novità emerse dal 93° Congresso nazionale Siu (Società Italiana di Urologia), che prende il via oggi a Roma. L’App tiene conto di parametri già normalmente considerati in questi casi: età, livelli di Psa, caratteristiche della malattia, dettagli della biopsia, fattori genetici. Il cancro della prostata è una delle principali cause di morte negli uomini. Ma la sopravvivenza in Italia a dieci anni è pari al 90% e circa il 70% dei pazienti non corre alcun pericolo immediato. "Negli ultimi 10 anni, a un numero crescente di questi pazienti (in Italia circa 26 mila persone) è stata data la possibilità di entrare in protocolli di sorveglianza attiva, piuttosto che essere trattati immediatamente. E per sorveglianza attiva intendiamo che i pazienti continuano a essere monitorati e sottoposti a test, con il trattamento che comincia solo se e quando la malattia dovesse dare segni di sviluppo", spiega il professor Walter Artibani, segretario Generale della Siu.
Di qui l’importanza di portare a termine in tempi rapidi il progetto GAP 3 per la realizzazione di un nomogramma, a cui stanno lavorando i ricercatori olandesi: "Si tratta di un progetto con un impatto clinico potenzialmente molto importante – sottolinea il professor Francesco Porpiglia, responsabile dell’Ufficio Scientifico della SIU e ordinario di Urologia dell’Università degli studi di Torino - Inquadrare correttamente il paziente a basso rischio permetterà di evitare interventi inutili e consentirà di concentrare le risorse operatorie per i pazienti con malattia più aggressiva".
Gli appuntamenti
Nella seconda giornata del Congresso si parlerà di Covid 19 e di come, alcune cure utilizzate per combattere l’alopecia e il cancro alla prostata, si stiano rivelando utili anche nella battaglia contro il coronavirus. Gli uomini sono le vittime preferite del Covid-19, con il 70% dei ricoveri. La maggiore facilità di contrarre l’infezione potrebbe dipendere dalla presenza di più elevati livelli di androgeni, cioè gli ormoni sessuali maschili, rispetto alle donne. Ecco perché si pensa di intervenire anche attraverso gli stessi trattamenti ormonali usati normalmente contro il tumore della prostata e la calvizie, per contrastare l’infezione e l’evolversi della malattia.
Una conferma di questa teoria arriva da uno studio italiano recentissimo (pubblicato a fine agosto sulla prestigiosa "Annals of Oncology") che ha analizzato più di 9 mila pazienti ricoverati in Veneto. Il lavoro ha mostrato come coloro che stavano seguendo una terapia anti-androgenica per tumore della prostata, avevano un rischio diminuito di 4 volte di contrarre l’infezione da coronavirus.
I pazienti in terapia anti-androgenica per alopecia o tumore della prostata risultano essere parzialmente protetti dall’infezione. E pare accadere lo stesso ai pazienti che assumono abitualmente farmaci inibitori della 5-alfa reduttasi (gli stessi utilizzati per l’alopecia ma a dosaggi piu elevati) per l’ipertrofia prostatica benigna.
“Gli studi in corso si concentrano sul ruolo di un particolare enzima legato alla membrana cellulare (denominato TMPRSS2), che appare mutato nei pazienti affetti da tumore della prostata, la cui espressione è regolata positivamente dai livelli androgenici e favorisce l’ingresso del virus nella cellula – spiega il professor Francesco Porpiglia –. Ecco dunque perché un trattamento sugli androgeni potrebbe eventualmente influire sull’ ingresso del Covid-19 nelle cellule e di conseguenza impattare sullo sviluppo e sulla gravità della malattia>.
La chirurgia conservativa
A conclusione del 93° Congresso, gli esperti si confronteranno sulla nuova chirurgia “conservativa”. Parliamo di quell’insieme di trattamenti – prevalentemente gestiti con i robot – che puntano a salvare l’organo o la ghiandola colpita dalla neoplasia, invece che asportarlo. Ogni anno in Italia circa il 40% dei pazienti con patologia oncologica urologica che fino a qualche anno fa si doveva sottoporre ad interventi che comportavano l’asportazione di un organo (prostata, rene o vescica), può sperare in un esito dell’intervento decisamente migliore.
Al centro di questa nuova chirurgia conservativa c’è il comune denominatore, la grande evoluzione tecnologica avuta con l’avvento della chirurgia robotica (che offre al chirurgo la possibilità di “vedere in 3D” garantendo movimenti sempre più fini e precisi) e l’introduzione di nuove piattaforme per trattamenti mini-invasivi. Questo insieme alla sempre maggior richiesta da parte dei pazienti di poter preservare le proprie funzioni fisiologiche in termini di capacità minzionale e sessuale; hanno fortemente spinto la chirurgia del terzo millennio in questa direzione.
Tumori
Per il tumore della prostata ad esempio "un trattamento mirato che non ne comporti l’asportazione Sembra avere risultati oncologici soddisfacenti, senza portare a una compromissione funzionale – spiega Porpiglia–.. La degenza postoperatoria è di 24-48 ore e gli effetti collaterali sono minimi. Nessun problema si riscontra sull’erezione e sull’eiaculazione. A 5 anni di follow-up la sopravvivenza cancro specifica può raggiungere il 99%". Nel caso del tumore del rene, "oggi il 70% dei pazienti con tumore confinato al rene può beneficiare di questo tipo di chirurgia – dice Walter Artibani –. In particolare, grazie alla robotica, l’approccio diretto a salvaguardare l’organo può essere proposto anche in caso di masse tumorali complesse da asportare>.
Discorso analogo per il trattamento del tumore di vescica muscoloinvasivo: "Si sta facendo sempre più strada un nuovo approccio multidisciplinare tra urologo, radiologo ed oncologo che, per pazienti selezionati, costituisce sicuramente una promettente alternativa" conclude Porpiglia.