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Reali - il racconto
Un ritratto delle due principesse, 1948; questo periodo coincide con l’inizio della rivoluzione fashionista di Margaret, stregata dai dettami del New Look dell’esordiente stilista Christian Diorfoto @DeA Planeta Libri, tratta da "Elisabetta e le altre" 
Un ritratto delle due principesse, 1948; questo periodo coincide con l’inizio della rivoluzione fashionista di Margaret, stregata dai dettami del New Look dell’esordiente stilista Christian Dior
foto @DeA Planeta Libri, tratta da "Elisabetta e le altre"
  
Reali - il racconto

Una sorella da ammirare. Ovvero, la principessa Margaret, Elisabetta II e la moda

Quello tra la principessa e Christian Dior è stato un legame scandaloso (dal punto di vista diplomatico) e seducente. Lo scopriamo nel libro "Elisabetta e le altre. Dieci donne per conoscere la vera regina", dal quale abbiamo preso un estratto - qui proposto come lettura estiva - dedicato a una delle figure più complesse e affascinanti della storia della monarchia britannica: la sorella di Elisabetta II. Un personaggio che il pubblico italiano ha conosciuto meglio grazie alla serie "The Crown", eppure ancora tutto da scoprire...

6 minuti di lettura

Prima ancora di Lady Diana, Kate Middleton e Meghan Markle, la famiglia reale inglese ha avuto una sua fashion influencer in Margaret. Gli anni Cinquanta nel Regno Unito sono stati segnati da quello che gli storici hanno definito The Margaret Look: prima ancora di social network e globalizzazione, ogni sua scelta in fatto di abbigliamento diventava il riferimento per un’intera generazione. Mentre il New Look di Christian Dior svecchiava i guardaroba, Margaret mostrava come interpretare i trend della moda contemporanea. Orientava acquisti e scelte di stile perché, come scriveva allora il Picture Post: “Tutto ciò che indossa è una novità”. Il suo gusto raffinato era celebrato da riviste come Harper’s Bazaar e Vogue, che all’unanimità la consideravano una delle più influenti fashion icons del tempo. A differenza della sorella maggiore, ma anche di tutte le donne che nella famiglia reale l’avevano preceduta, Margaret aveva un senso dello stile innato e uno spirito indomito che la portava a sfidare le regole anche in fatto di abbigliamento.

 

La principessa "leader of fashion" in copertina
La principessa "leader of fashion" in copertina 
“La principessa Margaret, con la sua figura delicata dalle ossa piccole, le mani e i piedi squisitamente minuti e la sua espressività, con quegli occhi blu profondo, sembra essere stata creata con lo scopo di indossare bellissimi abiti” scrive di lei la nanny profetizzando un futuro non lontano. Da bambina Margot giocava a travestirsi nella “principessa delle fiabe” pensando fosse più divertente del fare la principessa nella realtà. Sognava di diventare come Marina di Grecia, duchessa di Kent, unica donna la cui eleganza fosse degna di nota in famiglia, e chiunque l’abbia conosciuta in primissima età conferma il suo interesse per gli abiti e la moda. Anne Glenconner racconta in proposito un aneddoto curioso: quando nel 1971 diventa sua dama di compagnia, le mostra una foto che le ritrae bambine (lei aveva tre anni, Margaret cinque, Elisabetta nove) e le chiede: «Perché guardavi fisso ai miei piedi?». E Margot: «Ero invidiosa. Tu indossavi scarpe argentate e io solo marroni».
Elisabetta, da monarca, aveva la necessità – ma anche il desiderio – di vestirsi in maniera elegante ma convenzionale, dando visibilità ai designer britannici e scegliendo diplomaticamente colori e stoffe in base agli impegni ufficiali, mentre la principessa poteva contare su una maggiore libertà di seguire la moda. E chi meglio di uno stilista rivoluzionario poteva interpretare il desiderio di riscrivere le regole di stile della “ribelle reale”?


La relazione di Margaret con Christian Dior è allo stesso tempo scandalosa e rivoluzionaria. Il couturier e la principessa sono uniti da comune sete di novità e desiderio di stupire; lei era la perfetta testimonial del suo stile in un paese che Dior amava, l’Inghilterra, mentre lui era il perfetto complice in un piano che prevedeva lo svecchiamento dello stile reale e l’affrancamento dalla triste eredità della moda negli anni di guerra, che, venendo a patti con il razionamento, aveva imposto abiti dritti, corti e senza frivolezze. Mentre le bombe cadevano sull’Europa, norme severe erano state imposte sul numero massimo di metri di stoffa con cui un cappotto o un vestito potevano essere confezionati, e perfino sull’altezza che le cinture non dovevano superare. Il cappello, realizzato con materiali di risulta e scampoli di stoffa, aveva assunto il compito di distogliere l’attenzione dal povero abbigliamento.

La principessa incontra Christian Dior dopo aer assistito a una delle sue sfilate
La principessa incontra Christian Dior dopo aer assistito a una delle sue sfilate 
Rispetto a tutto questo, il lavoro del coraggioso couturier francese ha l’effetto immediato di cancellare ogni traccia di tristezza e ristrettezza dagli abiti, che con lui tornano a essere creazioni sfarzose, realizzate con abbondanza di tessuti pregiati: per cucire una gonna utilizzava fino a tre metri di tessuto. Il suo stile, soprannominato New Look da Carmel Snow, direttrice di Harper’s Bazaar, affascina Margaret fin da subito. Anche se quando Dior presenta la sua prima collezione, il 12 febbraio 1947, lei è assai lontana. In mare, per l’esattezza, a bordo della HMS Vanguard con direzione Sudafrica assieme ai genitori, il re e la regina, e a sua sorella Elisabetta. Le principesse si erano preparate al loro primo viaggio all’estero prendendo lezioni di afrikaans e assemblando un guardaroba assieme alla sarta Miss Avis Ford di Albemarle Street, in collaborazione con le case di moda di Edward Molyneux e Norman Hartnell, con cappelli forniti da Aage Thaarup e sciarpe di Jacqmar. Outfit che la diciassettenne Margaret considera insostenibilmente vecchi. Lo fa notare alla madre, quando arrivate al cospetto di Miriam Bloomberg, elegante moglie del sindaco di Città del Capo, le dice: «Accanto a lei sembriamo vestite come inservienti».

Al suo ritorno a Londra, la svolta. “All’improvviso, come una farfalla che esce dalla crisalide, la principessa Margaret allargò le ali” ricorda Crawfie. Tutti iniziano a parlare del suo stile quando il Times, in una cronaca del marzo 1948, pubblica una foto della principessa in visita a Glasgow con indosso un cappotto beige già visto un anno prima, vistosamente adattato alla moda del tempo con l’aggiunta di una quarta banda sulla lunghezza e di volume extra. Per Margot non è che l’inizio di una rivoluzione fashionista, e il suo viaggio in Francia e in Italia del 1949 gioca un ruolo essenziale per la sua affermazione come icona di stile. Ovunque vada viene inseguita dai paparazzi che riescono perfino a intrufolarsi nella sua suite d’albergo per svelarne “i segreti”: una boccetta di profumo Tweed e smalto Peggy Sage. A Capri, Margaret viene fotografa in mare con un costume da bagno così chiaro da far pensare che sia nuda: è scandalo. Quando arriva a Parigi, la mattina del 28 maggio, Le Figaro racconta come il suo primo desiderio sia stato vedere la collezione di un grande couturier parisien. Così viene portata al cospetto di Jean Dessès, su raccomandazione della elegante zia Marina di Grecia, e poi di un giovane promettente creativo, Christian Dior. È amore a prima vista. «Grazie per aver creato il New Look» gli dice Sua Altezza Reale dopo aver assistito a una sfilata privata organizzata dallo stilista, non sapendo quanto quella sua visita lo avesse fatto impazzire. Monsieur era nel panico, poiché nessuna delle sue modelle si avvicinava alle misure della principessa, ma dopo tante ricerche finalmente aveva trovato Ghislaine de Boysson, modella per sole 25 sterline al mese in una piccola casa di moda, lì confinata proprio perché petite rispetto alle colleghe: 161 centimetri di altezza, 58 di vita e 89 di fianchi. Una miniatura proprio come Margaret, alla quale lo stilista riesce finalmente a offrire un assaggio concreto di come gli abiti sarebbero stati sulla propria figura. Anni dopo, Dior consegnerà alla sua autobiografia il ricordo di quella visita e la sua prima impressione rispetto alla principessa: “Delicata, graziosa, squisita”. Lei tornerà a fargli visita a Parigi nel 1951 e nel 1959 per ordinare abiti couture, e non salterà nessuna delle sue sfilate a Blenheim Palace.


La principessa si trova a contendere nientemeno che alla zia Wallis Simpson lo scettro di “donna meglio vestita al mondo”: il New York Dress Institute la inserisce al tredicesimo posto nel 1951 e in cinque anni scala la classifica fino all’ottavo, due posizioni sopra la duchessa di Windsor. Si moltiplicano i suoi outfit memorabili, eppure l’abito preferito della principessa resterà sempre il suo primo Dior, acquistato a Parigi nel 1949 (...). Margot voleva indossarlo a tutti i costi e ci era riuscita, anche se non senza provocare un gran subbuglio a Buckingham Palace, con la madre che suggeriva di aggiungere delle spalline e la nonna che intimava al sarto di corte di alzarne la scollatura. Hartnell, da parte sua, con spregio aveva definito la creazione del collega “un bel vestito non adatto a una principessa”. A lui sono stati commissionati gli abiti per le foto ufficiali del diciannovesimo e del ventesimo compleanno e solo per i ventuno anni Margot ha ottenuto di vestire di nuovo un sontuoso abito da ballo Dior. Quello con cui passerà alla storia, immortalata da Cecil Beaton a Sandringham. Margot conserverà quel vestito per anni, prima di donarlo al London Museum nel 1968. Un trasloco semplice, in fondo, poiché a quel tempo il museo aveva sede a Kensington Palace, diventato la casa della principessa dopo il matrimonio con Snowdon.

Già, perché nel frattempo la principessa si sposa, e il suo abito bianco anche in quell’occasione conferma quanto in fatto di moda le differenze con sua sorella Elisabetta siano profonde come un abisso. Lilibet era scivolata nell’abbazia di Westminster con indosso un abito del tutto conservatore, nel giorno delle sue nozze con Filippo Mountbatten, il 20 novembre 1947. Affidato al couturier di corte, Norman Hartnell, e realizzato con stoffe acquistate con i coupon dei razionamenti di guerra, aveva scollo a cuore e maniche lunghe e aderenti, ma a distinguerlo era il ricamo di rose, gelsomino e spighe di grano sul corpetto, la gonna a ruota e lo strascico di tulle. Una scelta del tutto consona al ruolo di una futura regina, ma convenzionale agli occhi di Margot. Quando arriva il suo turno, sa di non poter commissionare l’abito da sposa a Dior e così consegna a Hartnell precise istruzioni perché la creazione rispecchi i suoi gusti: in organza di seta in un tutt’uno con il velo, aveva linee semplici e scollo a V, vita stretta e ampia gonna, ottenuta da 30 metri di tessuto, e con sottogonna in tulle per un effetto nuvola davvero regale, grazie anche alla tiara, realizzata per l’occasione.

Il differente approccio delle sorelle Windsor alla moda, in ogni caso, non sta tanto nel gusto quanto nella considerazione strumentale dell’abito. Per Margaret vestirsi è stato sempre, fin da bambina, questione di divertimento. Ma anche una necessità: eccellere nello stile serviva a distinguerla (finalmente a suo favore) rispetto alla sorella maggiore, perfetta da ogni altro punto di vista. Indossando abiti da star, Margaret entrava in vite che poteva solo desiderare, perché non le era concesso mettersi alla prova come attrice, ballerina, cantante. Mondi in cui il suo ego istrionico le avrebbe certamente assicurato il successo. La sua eleganza era un qualcosa che gli uomini ammiravano e le donne imitavano: un “potere” nelle sue mani, e vestirsi era un modo per esprimere se stessa in uno dei pochi modi in cui le era lecito farlo. Attirare su di sé lo sguardo delle persone era un bisogno primordiale per la principessa, nata per essere protagonista della scena e condannata a essere la numero due, sempre.

 

RIPRODUZIONE RISERVATA @DeA Planeta Libri

Testo estratto dal libro "Elisabetta e le altre. Dieci donne per conoscere la vera regina", di Eva Grippa, edito De Agostini.

 

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