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Dizionario della moda: camicia da notte

Dizionario della moda: camicia da notte

Con un tuffo nel passato siamo nella sartoria domestica di nonna Emma, che con la sua Necchi si appresta a creare il corredo di una giovane sposa nel racconto di Cristina Bellemo, scritto per il nostro "Dizionario letterario della moda"

8 minuti di lettura

Un nuovo appuntamento con la serie che "dà voce al guardaroba" con 30 testi inediti di scrittori italiani e stranieri che abbiamo letto e interpretato per voi, anche sull'app One Podcast

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Leggi il racconto di Cristina Bellemo

Quando le dissero che, in quanto orfana di guerra, aveva diritto al sostegno per qualsiasi percorso di studi desiderasse, la nonna Emma non ebbe titubanze, anche se era una bambina: voglio fare la sarta, affermò. Le piaceva cucire, chissà da chi l’aveva presa la passione, le piaceva immaginarsi gli abiti bellissimi, immaginarli sugli altri e su di sé. Eppure in casa di abiti bellissimi non ce n’erano stati mai. Come si ama qualcosa che non si conosce? Chissà.
Le regalarono una macchina da cucire Necchi, trovò posto in una stanzetta disadorna della casa dove viveva con la mamma, cuoca nella locale caserma della guardia di finanza, e il fratello meccanico delle biciclette.
Quando fu grande abbastanza ebbe accesso alla minuscola sartoria domestica della Mariuccia, per far pratica: doveva andare in città, pigliava il treno, dieci minuti ed eccola arrivata. Erano un gruppetto di ragazzine coi sogni e i capelli scompigliati, cominciavano dai gesti semplici per apprendere via via.
La Mariuccia faticava a tirare avanti, mica si faceva i salti a cucire, e la festa vera fu quando ottenne la corposa commissione del casino locale. Le sartine nuove, belle e limpide come la giovinezza, andavano a prendere le misure alle signorine, poi confezionavano queste gonnelline corte e, per il sopra, solo due bretelle che bastavano a coprire poco niente. Intanto, mentre facevano girare il metro intorno a fianchi seno spalle, ascoltavano le storie di vita.

La nonna Emma è stata una delle più straordinarie raccontatrici di storie che io abbia mai conosciuto, forse anche perché tante ne aveva accolte. E senza dubbio una delle persone più astute che io abbia mai incontrato. Impossibile vincere a carte, con lei, ma la briscola era solo un ambito minore in cui si manifestava la sua scaltrezza. Dopo alcuni anni, quando pensò di aver imparato abbastanza, si mise per conto suo, la stanzetta diventò il suo atelier, le piaceva farsi rotolare in bocca questo vocabolo che aveva letto nei rotocalchi. Cominciarono ad arrivare le prime clienti, erano amiche e conoscenti. Rimasero contente e passarono parola.
A quel punto la nonna era capace di fare tutto, dai mutandoni ai cappotti, dalle borsine alle camicette, dai guanti alle sottovesti, dai tailleur alle calze ai cappelli. Aveva una predilezione per i cappelli, a cui aggiungeva piume, fiori di stoffa, fiocchi e nastri. Sempre in perfetto pendant con i vestiti, vere delizie. Alla nonna piaceva anche crearsi gli abiti per sé, quando ne aveva la possibilità. Si faceva arrivare qualche rivista di moda, come quelle che sfogliava sognando dalla Mariuccia. Si sentiva bella, sofisticata, così differente dal mondo in cui era cresciuta.

Una domenica tornò a casa dopo un giro in centro con le amiche. Indossava un tailleur grigio perla, gonna longuette e giacca sfiancata, cappellino, borsa e scarpe in velluto rosso. Trovò la madre che rimestava la polenta nel paiolo di rame. - Ma come, polenta di domenica?! - sbuffò con un gesto insofferente della mano, calcando sulla a finale come una sfida. La madre alzò lo sguardo e il mestolo e, senza proferire verbo, sferrò un colpo al cappellino, che volò fuori dalla finestra aperta, chiazzato di rabbia e polenta. Cominciarono ad arrivare le future spose, chiedevano qualche capo, o diversi capi. Quando le domandavano qualcosa che non aveva ancora mai provato a realizzare, rispondeva con aria navigata -uh, a decine ne ho fatte, a decine-. Un giorno venne con la madre una ragazza del paese al di là della Brenta: attraversò il fiume coi barcaroi, che ponti lì ancora non ce n’erano. Allora si passava a bordo di queste barchette, legate a un cavo che andava da una sponda all’altra. Si pagava qualche spicciolo, i barcaroi vivevano di questo e ci mantenevano le famiglie. Avanti e indietro a forza di braccia tutte le volte che serviva.
La ragazza, da parte sua, era di famiglia benestante, -la mia sarta di fiducia si è ammalata… Ho sentito parlare bene di lei- disse alla nonna, -vorrei il corredo completo. Un tonfo di gioia nel petto. Da non far vedere, da far finta che fosse normale.
-Nessun problema, cose all’ordine del giorno per me. Si accordarono sul numero dei capi, tantissimi, presero ogni misura con la massima accuratezza.

La ragazza tornò qualche giorno dopo, sempre accompagnata dalla madre, portando scampoli di stoffe scelte con cura, di eccellente qualità, dal disegno raffinato e particolare. La nonna passava i polpastrelli sui tessuti, ne tastava la morbidezza, verificava col palmo il pregio di ognuno e pensava non me li potrei permettere mai, io. -Bene, bene, lavoro abitualmente con materiali di questo genere- commentava intanto con nonchalance. Non era vero. Aveva anche dei bozzetti e delle foto ritagliate dalle riviste, la ragazza. - La camicia per la prima notte di nozze la voglio così - disse mostrando lo schizzo di un modello castissimo ed elegante, classico: un carré liscio con breve abbottonatura davanti fin appena sotto il seno. Qui taglio alto stile impero, la parte sotto svasata, lunga e liscia fino alle caviglie. Colletto rotondo. Unico vezzo, le maniche lunghe blusanti, fermate dai polsini alti. Lineare, -castigata- commentò tra sè la nonna. Di sicuro suggerita dalla madre.
-La stoffa è questa- mostrò infatti la madre, svolgendo uno scampolo di seta meravigliosa tinta burro. Impeccabile.
-Oh!- scappò detto alla nonna.
Una meraviglia davvero. Ecco dove stava la bellezza, nel tessuto più che nell’originalità del modello. Bisognava saperlo tagliare perfetto, perché di stoffa superflua non ce n’era, considerò a occhio la nonna. Sfumava subito per lei la possibilità di tenersi segretamente qualche pezzetto d’avanzo. E dunque, si mise al lavoro. Era tanto, il lavoro, e questa volta, se tutto andava liscio, ne avrebbe ricavato una sommetta. Tanto il lavoro e però poco il tempo.

Si immerse tra cartamodelli, segni leggeri col gessetto bianco e tagli col fiato in gola, imbastiture delicatissime, sopraffili e sottopunti, impunture e occhielli, cuciture al ritmo rapido dei pedali. Dovendo oltretutto ricavarsi spazi per le altre commissioni che comunque bisognava portare avanti, le clienti certo non aspettavano. Venne la sera prima della consegna: ce l’aveva fatta! I capi lunghi appesi alle grucce in giro per la stanza, gli altri piegati accuratamente sul tavolo, pronti da sfoggiare con fierezza. Sì, era fiera la nonna, cosa avrebbe più potuto farle paura, da qui in poi: tutta quella roba, tutto riuscito bene, pieno di cura, senza errori né sprechi. La camicia da notte -il capo più importante- perfettamente corrispondente al modello, la seta splendida nei riflessi cangianti per tutta la lunghezza. Come si sarebbe posata con naturalezza sulle curve, scivolando come una carezza.
La camicia da notte. La nonna si avvicinò, scrutò bene, c’era una piegolina sul davanti, a destra: faceva sembrare che ci fosse un difetto. Istintivamente stese la camicia sul tavolo. Infilò all’interno una tavoletta per separare il davanti dal dietro. Mise le braci della sera nel ferro da stiro. -Dev’essere a regola d’arte- si ordinò ad alta voce. Avvicinò il ferro con delicatezza, vide la piega che si scioglieva sotto il calore. Sorrise. Che bellezza! Si fermò, era così contenta che le venne da aprire il ferro per controllare le braci miracolose. Un piccolo scoppio. Un maledetto piccolo scoppio.
Una brace minuscola salta fuori e va a posarsi sulla camicia, poco più sotto della scapola. Un istante. Il tempo di reazione della mano che la spinge subito via. Ti prego no ti prego no ti prego no, la nonna non ha il coraggio di guardare. Troppo tardi per le preghiere. Un piccolo buco. Un piccolo orrendo terrificante buco sulla seta meravigliosa, un vuoto profilato di nero, proprio davanti, una medaglia al disvalore.

La nonna sente cedere le gambe. La ragazza arriva domattina presto, paga la barca apposta, porta l’intero gruzzolo. Si è raccomandata: che sia tutto pronto il tal giorno, as-so-lu-ta-men-te. Il matrimonio è vicino, la precisina non cederebbe di un’unghia. La camicia per la prima notte di nozze. Proprio quella camicia, diavolo d’un ferro. L’indumento che non può aspettare, importante quanto l’abito da sposa. La nonna scoppia a piangere di rabbia. Che cosa le è mai saltato in mente, era meglio la piega, mille volte un milione, stupida che sono! Si dispera, se la prende con sé coi matrimoni con le spose con tutti i santi -certo che poco vi costava, a voi, scostarvi un momento l’aureola dagli occhi e guardar giù, con la sfilza di orazioni che vi recito!
Poi si pente e si ricompone. Poggia le mani sul tavolo, -devo pensare, devo solo pensare-. Pensa Emma, pensa, devi solo pensare. Per fortuna c’è la notte davanti. Dunque, che cosa posso fare. Di seta non ce n’è più. Qualche strisciolina, ridicola, praticamente nulla. Un’applicazione. Una rosa di stoffa, una taschina. No, macché, il buco si vedrebbe lo stesso, il rimedio peggio del danno. Una pince. Niente da fare, il taglio del corpetto è asciutto, anche con due sole pinces -una a destra e una a sinistra- non ci stai dentro, non chiudi più i bottoni. La nonna si parla e si risponde da sola.
Di colpo, l’illuminazione.

Il cuscino di pizzo! Regalo della zia Edvige, veneziana tutta fru fru e merletti, un gusto kitsch insopportabile. Ma tu guarda se improvvisamente deve diventare la soluzione, la salvezza, da non crederci. Prende il cuscino, lo soppesa, pizzo davanti e dietro, perfetto. Scuce i bordi, dovrebbe bastare, è un bel cuscino grande, per zia Edvige una cosa o è appariscente o non conta niente. Allora -la nonna si ripete mentalmente la sequenza-: smonto il carré sul davanti; stacco il colletto; taglio il carré nel pizzo: stessa forma precisa; lo rimonto; apro gli occhielli e applico i bottoni; rimonto anche il colletto, magari invece che rotondo lo faccio a fascetta bassa e con una striscia della seta rimasta, toh, ci aggiungo anche un piccolo volant. Controlla l’orologio. Ce la posso fare, ce la faccio. Dai, dai! Passano le ore, si scoraggia si punge borbotta le scivolano le cose dalle mani borbotta di nuovo canticchia mormora tra sé si appisola si riprende. Riparte. Mentre me lo racconta mi dice capisci, pensai di risolvere facendo uno scherzo. Sai, uno scherzo. E con la parola scherzo intende la trovata, lo stratagemma, il trucco. Ho pensato uno scherzo, mi ripete, non c’era altro da fare.

La notte passa senza un’ora di sonno. La mattina presto la camicia da notte -quella con lo scherzo- è pronta. È tutto sommato ben fatta, nonostante la luce notturna e la stanchezza. Ora bisogna pensare alla spiegazione, dovrà essere convincente, senza cedimenti. Si beve un caffè per stare in piedi con la lucidità che serve. La ragazza arriva, con lei l’immancabile madre. La camicia da notte è la prima cosa che vede, la nonna apposta l’ha lasciata appesa alla gruccia in bella mostra, lei è della scuola di pensiero fuori il dente fuori il dolore. -Non era così il modello- nota secca la ragazza, indagando gli occhi della nonna. La nonna annuisce, con tranquillità serafica senza scomporsi. -Sì. Sì, certo, mi sono permessa. Ehm. Se mi posso permettere…- qui si ferma. Me la vedo, conosco il talento teatrale, il senso delle pause.
-Ho pensato: ma così è davvero troppo semplice la camicia per la prima notte. Mi sono detta: c’è bisogno di un tocco ricercato, un vezzo, un guizzo moderno, alla moda. Allora mi sono ricordata di uno scampolo prezioso di pizzo di Burano, mio personale, lo tenevo messo via per un’occasione speciale. E questa lo è senza dubbio. Mi perdoni, ho voluto a tutti i costi mantenere la sorpresa, ero certa che avrebbe apprezzato. Una donna col suo gusto, la sua originalità, la sua eleganza. Chic. Ho giocato su un effetto di preziosità e leggerezza. Si fidi, ne ho viste io sa, sarà un modello unico, glielo garantisco. Vuole la verità? La farei identica per me. Oltretutto, il pizzo è fitto, niente di scabroso. Un vedo non vedo... E in ogni caso, a dirla tutta, ci sarà solo uno che vedrà... La nonna accenna una risatina, appena appena percettibile, senza eccessi, un’offerta di complicità.

La ragazza valuta silenziosamente, inclina la testa da una parte, poi dall’altra, infila la mano nel corpetto per valutare la trasparenza. Immagina. Sorride, finalmente. La madre le dà di gomito, storce la bocca come a dire non vorrai mica scherzare, è tutt’altro da ciò che avevamo ordinato. Ma non dice niente. -Che idea geniale- esclama la ragazza. -Brava, brava! Me l’avevano raccontato che eri brava, ora posso confermarlo io stessa. Pagherò come si deve ogni centimetro del pizzo che hai utilizzato, riconosco che è di ottima fattura. Batte le mani per l’entusiasmo, il passaggio al tu indica una gratitudine superiore alle aspettative, lo spostamento del discorso sul piano della confidenza. Se ne va felice e contenta, con le sporte piene di indumenti che non vede l’ora di indossare. La camicia da notte, soprattutto. La madre dietro arranca, i suoi pareri sono appena diventati superflui. L’ha scampata bella, la nonna. Anzi, ne è uscita proprio con onore. Prende in mano le due parti di seta smontate. Taglia per eliminare il punto del buco, che è piuttosto marginale. Pareggia le misure. Cuce i bordi. Una coppia di fazzolettini raffinatissimi. Pura seta color burro. Perfetti per farli spuntare da un taschino, da una pochette. Un dettaglio prezioso.

In sartoria non si butta niente.

L'autrice

Cristina Bellemo è nata e vive a Bassano del Grappa, a pochi passi dal fiume Brenta. Giornalista da vent’anni per diverse testate, è direttrice responsabile de L’AbBeCedario, notiziario di A.B.C., Associazione Bambini Chirurgici dell’ospedale pediatrico Burlo Garofolo di Trieste, e autrice di vari libri tra cui La leggerezza perduta, vincitore del Trofeo Baia delle favole nell’ambito del Premio Andersen. Sposata con Massimiliano, ha due figli, Cecilia e Sebastiano. Da anni incontra bambini e adulti, raccontando la sua passione per le storie e per la magia irresistibile della narrazione. Salpa spesso per viaggi imprevedibili: il suo bagaglio è un carrettino pieno di libri, oggetti che suonano e carabattole.
Topipittori è il suo ultimo lavoro, storia del Paese degli Elenchi dove il signor Fermo Sicurini ha il compito di schedare i cittadini e rilasciare loro dei certificati tipo: alla signora Evelina, certificato di spazzatrice di pavimenti. Al signor Mario, il certificato di arrostitore di patate al forno. A Lucia, il certificato di vigilessa per i ricci. Finché un giorno nel suo ordinatissimo ufficio irrompono dodici bambini...