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Aborto. Il diritto negato. La parola a Emma Bonino e le social attiviste

Emma Bonino aveva 30 anni nel 1978 quando passò la legge 194 sull’aborto. Vittoria Loffi ne ha 23 ed è tra le promotrici della campagna Instagram Libera di Abortire. Federica Di Martino, 35, ha lanciato su Facebook e Ig “Ivg Ho abortito e sto benissimo!”. Tre generazioni a confronto ma la stessa paura: vedere un diritto fondamentale cancellato

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Emma Bonino aveva 30 anni nel 1978 quando passò la legge 194 sull’aborto. Vittoria Loffi ne ha 23, giovanissima macchina da guerra, tra le promotrici della campagna Libera di Abortire promossa da Radicali Italiani che marca strette le istituzioni per correggere le cose che non vanno nella 194. Federica Di Martino, 35enne salernitana, è psicologa e attivista transfemminista che dal 2019 ha lanciato con altri su Facebook e Instagram “Ivg Ho abortito e sto benissimo!”, per spazzare via “la retorica dell’interruzione volontaria di gravidanza, Ivg, come esperienza esclusivamente drammatica”. Un pomeriggio di fine giugno le abbiamo messe insieme, generazioni diverse, stesse battaglie, come se l’aborto fosse il nostro giorno della marmotta dei diritti civili; pensavamo di essere andate oltre, riecco invece le trincee. È alta l’attenzione sulla Corte Suprema americana che potrebbe cancellare la legge sull’aborto del ’73, ma anche noi abbiamo il nostro Texas: è il Molise, dove l’obiezione è praticamente totale. Non solo: secondo gli ultimi dati ufficiali diffusi, il 67% dei ginecologi italiani è obiettore, in Sardegna e Sicilia oltre l’80% delle strutture non garantisce l’interruzione di gravidanza, e al Nord non va meglio: l’obiezione è totale in almeno sette ospedali della Lombardia. 

Foto dell’ag. Gallery Stock
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Partiamo da qui: perché questa continua regressione?
Emma Bonino:
«Non faccio la sociologa, quindi la mia spiegazione è più politica. Da anni vado ripetendo, credo inutilmente, che i diritti si difendono e si curano giorno per giorno. La 194 fu un’esplosione: si portò dietro una scia di riforme, dal diritto di famiglia al voto ai diciottenni, all’obiezione di coscienza. Difendere i diritti vuol dire chiederne anche altri, è come andare in bicicletta, se non ti muovi cadi».

E adesso stiamo cadendo?
Bonino
: «Ho sempre detto che la miglior difesa è l’attacco, ma in questo momento non riusciamo a fare mezzo passo avanti neanche su altri temi. È evidente che siamo in presenza di un filone di pensiero, qui e al di là dell’Atlantico, che non è il più disponibile a riconoscere i diritti femminili. Non mi pare sia solo l’influenza della Chiesa, è piuttosto una posizione culturale, da sempre: la donna deve partorire con dolore, e abortire sotto tortura».
Vittoria Loffi: «Forse il problema è che nei 44 anni dalla legge l’attenzione si è un po’ dissolta. Ci si è arroccati per paura di situazioni peggiorative, abbiamo a lungo gridato “Giù le mani dalla 194”, ma quella legge ha troppi buchi e va cambiata, perché non tutela l’accesso dignitoso a questa pratica, né il diritto all’autodeterminazione. Quando invece si potrebbe rendere l’aborto autogestito o comunque al passo con la scienza, con le terapie farmacologiche. Come stanno cercando di rispondere le cliniche americane alla situazione che si potrebbe creare col ribaltamento di Roe vs Wade? Con la telemedicina».
Bonino: «Se non sbaglio, già l’articolo 15 della legge prevede che ospedali, e consultori, siano attenti alle innovazioni tecnologiche che possono rendere l’aborto meno cruento. Dopo di che, Silvio Viale (politico e ginecologo di Torino, ndr) ci ha messo dieci anni per riuscire ad usare l’RU486. Dieci anni. C’erano le aperture in campo scientifico, c’era una chiusura totale nella società».
Loffi: «Quando abbiamo lanciato Libera di Abortire, ci hanno accusato di vittimismo per aver riportato situazioni limite. Ma è dover implorare per un’anestesia che non va più bene. Tutto questo sta creando più consapevolezza, e a volte anche un contrasto che non dovrebbe esserci».

Con chi?
Loffi
: «Col personale medico non obiettore che si sente chiamato in causa. Ma non è certo loro che critichiamo, non vogliamo cose diverse: tra noi e loro dovrebbe esserci più alleanza».
Bonino: «È chiaro che nel ’78 quella legge è stata approvata con molti compromessi, alcuni persino ipocriti, come quando si dice che una donna può abortire se è povera o malata. Figuriamoci se i consultori andavano a controllare il 730».
Federica Di Martino: «L’aborto è anche una questione di classe. Se ho i soldi, posso andare all’estero superato il termine, posso prendermi le giornate per cambiare Regione se nella mia non posso abortire…».
Bonino: «È sempre stato così. Per questo io ritengo che i diritti civili siano anche diritti sociali. Già all’epoca le signore coi soldi, anche pochi, una soluzione ce l’avevano. Le disperate erano le povere, e per trent’anni ho cercato di spiegare al Pd e ad altri che per questo i diritti sociali non sono solo il lavoro, la fabbrica. Non c’è stato verso. Mi dicono che sono radical chic. Ma se capisco bene le tre quattro cose che ho imparato anche dalle ragazze più giovani, abortire è ancora difficile. Però mi sembra ci sia meno il senso di vergogna. All’epoca era una cosa indicibile. Forse la potevi fare, ma non la dovevi dire. Come per il tumore, lo si chiamava una brutta malattia».

Ci si vergogna meno? E perché è così importante smantellare l’idea che l’aborto sia sempre un’esperienza dolorosa?   
Di Martino
: «Partiamo dal concetto che la cultura cattolica da noi è fortemente interiorizzata, e quindi in caso di aborto ci sentiamo legittimate solo se soffriamo, e se attraverso la sofferenza ci pentiamo. La donna  deve essere sempre ricondotta alla funzione riproduttiva. Se rompo questa narrazione smitizzando la sofferenza li metto in crisi, non sanno più dove collocarmi. Per questo, non potendo cancellare il diritto, oggi è stata silenziata la parola. Con Ivg ce la siamo ripresa, raccogliendo migliaia di storie e testimonianze».

Cosa emerge dai racconti?
Di Martino
: «Con il Covid, alle donne che dovevano abortire e scoprivano di essere positive in ospedale spesso veniva detto: “augurati di negativizzarti in tempo”. Quando invece c’erano linee guida ad hoc del ministero. Ma la cosa che sento più spesso è: “Mi sono sentita in colpa per non essermi sentita in colpa”. Si passa dallo stigma sociale a quello interiorizzato del “non soffro, dunque c’è qualcosa in me che non va”. Se non modifichiamo la cultura sull’aborto, sarà complicato cambiare l’assetto legislativo».

Foto dell’ag. Gallery Stock
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La libertà di decidere del proprio corpo tocca oggi anche territori più complicati: sex work, maternità surrogata… 
Loffi
: «Io credo che su questi temi la generazione del femminismo intersezionale abbia più consapevolezza perché è abituata a non trattare più certi discorsi in modo separato. Persino Amnesty International da anni tutela il lavoro sessuale come lavoro. E poi c’è un motivo se oggi parliamo di sex work e Gpa, e non di prostituzione e uteri in affitto: iniziamo a usare parole che ridanno dignità e diritto a quello che si sta facendo». 
Bonino: «Io ho sempre seguito una regola: io non lo farei, ma non per questo tu non lo devi fare. Ci ho messo una vita a liberarmi dal decalogo di mio padre e poi del parroco e poi di non so chi, sono arrivata alla convinzione che nelle scelte individuali bisogna entrare con cautela. Tempo fa mi ferma in strada una signora con figlia, in lacrime, perché la ragazza non poteva avere figli. La signora mi inchiodò con una domanda: “Scusi eh, ma se io posso dare un rene a mia figlia, perché non posso prestarle l’utero?”. Ecco; nelle scelte delle persone bisogna entrare coi piedi leggeri, senza dover insegnare agli altri come devono vivere».