«I capelli sono libertà. Libertà dai rigidi confini di genere». Esordisce così il giovane coreano Dae Uk Kim parlando delle sue creazioni artistiche: sculture, opere e installazioni realizzate con veri capelli.
Il suo racconto, molto personale, inizia da lontano. Da quando era bambino, poi ragazzo, studente, soldato, in un Paese dove gli stereotipi e le limitazioni che questi comportano, erano ancora molto forti. «Elementari, medie, superiori, servizio militare: sono sempre stato costretto a tenerli corti. Sognavo di farli crescere sapendo che era un desiderio illecito e, di nascosto, pettinavo quelli delle Barbie. Quando mi sono trasferito in Olanda, anche se la situazione era diversa, ho impiegato un po’ di tempo a liberarmi dai pregiudizi. Alla fine ho iniziato a usare i capelli come il mio alter ego: giocandoci, intrecciandoli, plasmandoli. Così sono nate le mie opere». I suoi lavori sono stati protagonisti di svariate mostre in giro per il mondo ma quest’anno, «per la prima volta, esporrò in Corea del Sud. L’idea è reinterpretare il norigae, ornamento tipico dell’abbigliamento tradizione del mio Paese, facendone un totem che esprima il mio mondo immaginario».
Kim non è l’unico artista a utlizzare i capelli come texture per le sue opere. Sono molti i talenti che, intuendo le potenzialità di questa materia complessa, capace di suscitare emozioni contrastanti ma anche di rimandare a tematiche sociali e culturali importanti, ne hanno fatto il medium delle loro creazioni.
Per Laetitia Ky, per esempio, le sculture che realizza su se stessa sono un messaggio contro la disparità sociale, la violenza sulle donne, la discriminazione. Avoriana, classe 1996, Ky ha iniziato sette anni fa. «L’ispirazione mi è venuta sfogliando un libro sulle donne africane prima della colonizzazione. Le pettinature erano incredibili: sculture astratte, decorate con perle, oro e conchiglie. Così ho cominciato a riprodurle su di me, sfruttando tecniche imparate quando ero bambina da mia madre». Fotografate e postate su Instagram, le sue performance sono diventate virali. Da qui sono nate collaborazioni musicali (con Di’Ja), stilistiche (con Marco Rambaldi) e un brand di moda, Kystroy che sintetizza i valori dell’hair artist: «I capelli sono un’estensione di me stessa, la mia arte e il veicolo per esprimere il mio modo di essere una donna black».
Parla di identità culturale, in questo caso latino americana, anche Lucho Dávila, alias Iamtrece, che con il progetto fotografico Fanesca riflette sugli archetipi dell’estetica ecuadoregna all’interno dei quali «i capelli giocano un ruolo rilevante, esprimendo l’incrocio delle tradizioni indigene con le influenze europee». Nella serie di autoscatti che compongono l’opera esposta alla londinese Victoria House Basement durante la fashion week del febbraio 2022, Dávila ha il volto coperto da una lunga parrucca nera, «simbolo delle capigliature tradizionali del mio Paese e sintesi del sincretismo della nostra cultura».
Sempre le immagini sono il territorio di esplorazione di Rossella Damiani, giovane fotografa italiana che vive a Londra. Ai capelli l’artista ha dedicato il suo lavoro d’esordio, Untangled, in cui indaga sul «fenomeno della tratta dei capelli umani. È una narrazione visiva che ripercorre il loro viaggio: dal recupero ai processi produttivi, fino alla consegna finale. Ho scelto un approccio personale, invece che documentaristico, per raggiungere un pubblico più vasto. Ho composto un quadro a tasselli: non si può vedere l’immagine completa senza incastrare tutti i pezzi».
Sono sculture realizzate invece con materia sintetica quelle create dall’artista slovena Ana Mrovlje per il progetto Part time human: il suo lavoro è una riflessione su come corpo e capelli «siano un fatto culturale e non biologico», spiega Mrovlje. Per questo motivo ha usato dei materiali artificiali evidenziandone, nonostante la struttura imperitura, la fragilità intrinseca e la capacità di rappresentare comunque un’estensione del corpo.
All’opposto il lavoro di Piergiuseppe Moroni, hairstylist di fama internazionale e artista poliedrico, che non solo lavora esclusivamente con capigliature naturali senza mai alterarne il colore originale, ma utilizza soltanto capelli tagliati da lui stesso e provenienti da persone che ritiene interessanti. «Recupero il materiale con cui lavoro tutti i giorni e lo classifico registrandone la provenienza: i capelli sono l’essenza di un ritratto», spiega. Tinte in tonalità acriliche sono invece le sculture di Zu Kalinowska: il suo lavoro è un’esplorazione sull’intimità. «I capelli sono qualcosa di personale e, insieme, un mezzo di comunicazione: è la loro ambivalenza che mi affascina». E conclude: «Anche se rimossi dal corpo, contengono tracce di storie ed emozioni. E io le racconto».