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Tour a Roma, tra i monumenti che hanno ispirato celebri gioielli Bulgari

Foto Bridgeman
Foto Bridgeman 
Da via Giulia al Colosseo. Passeggiando per l’Urbe con lo storico dell’arte Costantino D’Orazio, scopriamo una città d'incanto
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Con piglio scanzonato e naïf, Andy Warhol sosteneva che il negozio Bulgari di via Condotti fosse il museo d’arte più interessante di Roma. Quello spazio inaugurato negli anni Trenta da Sotiris Boulgaris (poi italianizzato in Sotirio Bulgari), argentiere arrivato da Paramythia nell’Epiro settentrionale, portando il glamour sotto la collina del Pincio e nel cuore del cosiddetto “quartiere greco”, in una Roma dove le boutique lussuose sorgevano abitualmente in cima a Trinità dei Monti, lungo via Sistina. Vetrine con dirimpetto i marciapiedi tenuti assieme dalle “serliane”, archetti che incastrano una fascia di porfido con l’altra e ne impediscono lo slittamento, semplice semicerchio che la maison di gioielleria ha usato come elemento decorativo per la collezione Parentesi e incluso decine di volte nelle creazioni. «Perché Bulgari e Roma sono la medesima cosa, e questo è un fatto storicamente assodato», sostiene Costantino D’Orazio, storico dell’arte, scrittore e curatore presso la sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, che da dieci anni lavora sulle corrispondenze tra l’arte orafa dei Bulgari e le ricchezze dell’Urbe. «Ciò che ne nasce non sono “copie”, ma traduzioni miniaturizzate degli archetipi architettonici e decorativi della città». 

Nelle foto due modelli indossano gioielli Bulgari, in posa vicino ai monumenti che li hanno ispirati. Le foto sono tratte dal libro Bulgari Roma, racconti di viaggio e di bellezza (Rizzoli). Foto courtesy Bulgari
Nelle foto due modelli indossano gioielli Bulgari, in posa vicino ai monumenti che li hanno ispirati. Le foto sono tratte dal libro Bulgari Roma, racconti di viaggio e di bellezza (Rizzoli). Foto courtesy Bulgari 

In un giorno limpido ci incamminiamo con D’Orazio lungo via Giulia, divenuta nel Seicento “la strada dei fiorentini”, chiamati dai Papi per l’agilità nelle finanze e nei commerci. A pochi passi da Palazzo Farnese, sorge Palazzo Confalonieri, oggi sede dell’Accademia d’Ungheria e appartenuto all’omonima famiglia toscana arricchitasi nel Rinascimento con la riscossione della tassa sul sale. All’esterno, due teste d’arpia controllano l’ingresso. Dentro, in un’ala chiusa al pubblico e la cui funzione storica non è mai stata chiarita, le sale stuccate in gesso da Francesco Borromini, che le ha forgiate di sua mano pochi anni prima di togliersi la vita, impazzito di disperazione per la perdita della vista. Sul soffitto delle camere segrete, insieme a spade, foglie d’acanto e al globo terrestre, Borromini ha scolpito l’Uroboro, il serpente che si morde la coda simbolo della continuità temporale e della mancanza di principio e di fine. Sale che Giorgio e Costantino Bulgari, eredi di Sotirio, negli anni Sessanta hanno frequentato assiduamente, finché il serpente è divenuto il design per la prima collezione di orologi: «Molti elementi provengono da palazzetti privati, perché i Bulgari vivevano la dolce vita e avevano accesso a luoghi esclusivi e questo, in particolare, è il soffitto stuccato più bello di Roma». 

Foto courtesy Bulgari
Foto courtesy Bulgari 

Ma ogni incanto, in questa preziosa versione dal classicismo, nei decenni è diventato gioiello: il geroglifico che nomina il dio Sole sull’obelisco di piazza del Popolo, rubato da Augusto nella sua conquista d’Egitto e sistemato dov’è oggi da Papa Sisto V. Poi, le cupole delle chiese gemelle lì a due passi, che gemelle in realtà non sono perché una ha pianta ellittica e l’altra circolare, traslate su un anello con due perle uguali che uguali non sono, perché di perfettamente gemelle, in natura non ne esistono. Poi le piume dei cherubini su Ponte Sant’Angelo divenute negli anni Trenta spille e orecchini; o le foglie d’alloro alla base della colonna Traiana trasformate in borsette; e ancora, gli archi degli acquedotti poi trama di collane.

Con D’Orazio ci muoviamo verso le Terme di Caracalla, qui dove un’intera collina venne spianata per regalare uno spazio di salute gratuito ai cittadini di Roma: i mosaici del pavimento, ispirati al fiore del ginkgo biloba, sono diventati ornamento a ventaglio per la collezione Divas’ dream. Mentre l’anello B.zero1 è un Colosseo in miniatura e ne mantiene le triplici proporzioni, quell’anfiteatro Flavio eretto nell’80 d.C. e che prese il nome da una statua di Nerone alta 25 metri (un colosso, appunto) e completamente ricoperta d’oro, in grado di riflettere il sole fino al porto di Ostia. Un gioiello perduto. In mezzo a tanti gioielli, ancora qui, custoditi al numero dieci di via Condotti.