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Tutti pazzi per la Corea, tra cosmetici e fashion trends: ma quanto la conosciamo davvero?

Kim Ji-soo aka Jisoo delle Blackpink alla Parigi Fashion Week 2022
Kim Ji-soo aka Jisoo delle Blackpink alla Parigi Fashion Week 2022  
Da Gangnam Style a Parasite, passando per gruppi musicali come le Blackpink e i rituali della K-beauty, la Corea del Sud ha fatto parecchio parlare di sé, nell’ultimo decennio, tanto da lanciare - grazie a piattaforme come YouTube, Facebook o Tik Tok - trends a livello internazionale. Eppure, mentre la Korean wave invade l'occidente, resta un Paese dalle molte contraddizioni
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La chiamano Korean invasion, l’invasione pacifica di un fenomeno culturale che tra pop music e serie tv, cosmetici e nuove leggi in fatto di beauty routine, trend di moda e nuovi idols K-pop (vedi Blackpink o i BTS), si è mossa come un’onda allungandosi fino al mondo occidentale. Da Gangnam Style a Parasite, la Corea del Sud ha fatto parecchio parlare di sé, nell’ultimo decennio, tanto da lanciare - grazie all’esplosione di piattaforme come YouTube, Facebook o Tik Tok - trends a livello internazionale e dar vita al neologismo Korean wave (onda, appunto) o anche Hallyu, espressione creata proprio per indicare l’interesse globale per i prodotti d’intrattenimento sudcoreani. Il fenomeno sembra inarrestabile e ha contagiato largamente anche l’Italia, che alla Corea guarda con interesse non solo per i suoi progressi a livello tecnologico, ma per le tendenze in ambito artistico, per l’industria cosmetica e l’industria della moda e del fashion.

Qualche esempio? Leesle Hwang e Kathleen Kye sono solo de dei designer emergenti che stanno cercando di farsi strada nel mondo del fashion. E in un Paese in cui ogni luogo viene pensato per essere il più “instagrammabile” possibile e le influencer possono essere anche avatar, sembra di trovarsi già nel Metaverso. Tutto quello che sappiamo quindi della Corea del Sud è relativo a quanto viene esportato all’estero. Perché la vita, nel Paese, è molto diversa dall’immagine all’avanguardia, quasi futuristica, che ne abbiamo. Ce lo racconta Marco Ferrara, noto su Instagram @seoulmafia, che con ben 211mila followers è stato definito l’ambasciatore digitale italiano a Seoul, dove vive ormai da dieci anni.

La Corea del Sud è un Paese che si è modernizzato recentemente e in cui, come racconta Ferrara, convivono due mentalità. Da una parte una mentalità giovane, aperta e tecnologica. Dall’altra parte una mentalità molto chiusa, religiosa, “bigotta”, in cui gli stereotipi di bellezza regnano sovrani e l’inclusività è un concetto ancora sconosciuto. Un esempio per tutti: in molti negozi sudcoreani non esistono taglie, ma solo “free size”, un formato fatto su misura per chi rispetta dei canoni fisici predefiniti. Chi non ci entra, non lo indossa. “Qui è normale che ti venga chiesto se sei ingrassato, bisogna farci l’abitudine”, ci dice Seoul Mafia. Il discorso cambia, poi, se a vestirsi è un uomo o una donna. Il corpo femminile deve avere le spalle larghe e spigolose formare un angolo di 90 gradi, le gambe e le braccia non devono essere sproporzionate rispetto al busto e bisogna essere muscolose ma non troppo, magre ma senza esagerare. Questi canoni cosi precisi non si limitano nemmeno solo al corpo, ma anche al viso che può essere a forma di “cane, gatto o dinosauro”. La forma più in voga sarà quella che si avvicina di più al volto della star del momento che porterà moltissime giovani donne a sottoporsi a interventi di chirurgia plastica pur di avvicinarsi il più possibile a quel modello, che potrebbe cambiare anche dopo pochissimo tempo.

Tra i tanti componenti della Korean Wave, c’è sicuramente il K-pop, iniziatore di tendenze anche nel mondo della moda e del beauty. Tra i gruppi musicali più famosi a livello internazionale ci sono i sopracitati BTS e le Blackpink, gruppo tutto al femminile le cui quattro componenti sono diventate volto di altrettante maison francesi: Lisa per Celine, Jisoo per Dior, Rosé per Saint Laurent e Jennie rappresenta Chanel.

In Corea del Sud questi “idol” sono davvero idolatrati, al punto da spingere i fan a fare anche ore di fila per riuscire a comprare qualsiasi cosa essi sponsorizzino o indossino. “Una volta volevo comprare una borsa di lusso, sono andato in negozio e quando ho detto alla commessa il modello, indossato precedentemente da un componente dei BTS, lei mi disse che era ovviamente sold out in tutti gli store”, racconta ancora Ferrara.

Questo spasmodico inseguimento all’ultima micro tendenza dettata dalle star del mondo musicale e televisivo fa in modo che in Corea del Sud i trend nascano e muoiano molto più velocemente rispetto ad altri Paesi. E questo è possibile anche perché ogni tipo di oggetto, di qualsiasi brand, si può comprare a rate. Non a caso, il livello di debito privato in Sud Corea è dell'89,2% del PIL, come riporta Il Sole 24 Ore. La selezione dei giocatori in Squid Game descrive molto meglio di quanto si pensa la società sudcoreana attuale.

La moda coreana è ampiamente contaminata dai grandi marchi europei che, sfruttando la fan base del K-pop, non hanno tardato molto a capire che usare come volto delle aziende gli idol sarebbe stato più che vantaggioso. E così come per le Blackpink troviamo anche i BTS in veste di ambassador di Louis Vuitton e Lee Jung-jae di Squid Game arruolata da Gucci. “Ogni persona deve avere almeno una borsa di lusso” è un modo di dire locale perché in Sud Corea i prodotti griffati sono un vero e proprio simbolo di appartenenza sociale. Un gioco di regole non scritte che, se infrante, possono essere distruttive. È accaduto a Song Ji-a, ragazza molto giovane che, dopo essersi fatta conoscere grazie al reality show Single’s Inferno, ha cominciato a postare sul suo profilo Instagram delle foto che la ritraevano con capi di abbigliamento e accessori molto costosi. Quando si è scoperto che tutti questi prodotti erano in realtà contraffatti, Song Ji-a, nota su Instagram come Freezia, è stata costretta a scusarsi pubblicamente con un video su YouTube e poi a cancellare tutti i suoi contenuti.

Il caso di Freezia è solo la punta di un iceberg. L’intrattenimento asiatico è infatti dominato da cyber-bullismo e haters. Un fenomeno allarmante che ha provocato molti suicidi tra i più giovani dello star system. Tra i profili più presi di mira ci sono soprattutto donne giovani che spesso vengono criticate per una scollatura troppo profonda, per una sigaretta, un tatuaggio o per aver girato una scena di sesso in un film. Criticate a tal punto da credere che non ci sia altro da fare che togliersi vita. Ma neanche tutti gli uomini possono sentirsi liberi di esprimersi. Kim In-hyeok, un giocatore di pallavolo professionista, aveva ricevuto una raffica di commenti odiosi sul suo aspetto e speculazioni sulla sua identità sessuale; è stato trovato morto suicida nella sua casa di Suwon.

“Ho deciso di non creare contenuti per un pubblico coreano perché non voglio sottostare a determinati standard e ideali, voglio sentirmi libero di essere chi sono”, dice a riguardo Marco Ferrara. “D’altra parte, a Seoul io mi sento più libero di vestirmi con abiti cute, tipo felpe rosa con orsacchiotti sopra o di mettermi lo smalto alle unghie”, prosegue Ferrara. Viene spontaneo chiedersi se sia perché le persone hanno una mentalità aperta rispetto alla fluidità di genere. Ma sorprendentemente la risposta è: no. La questione è diversa: i riferimenti culturali sono diversi, quindi in Corea del Sud lo smalto o il colore rosa su un uomo non vengono associati a un particolare orientamento sessuale, ma vengono percepiti solo come qualcosa “fuori dal comune”. Ciò non toglie che la società sudcoreana sia ancora estremamente conservatrice su certi temi, molto più di quella occidentale. Lo dimostra, tra le tante cose, la censura imposta ai contenuti televisivi o cinematografici, come accaduto con alcune scene di Bohemian Rhapsody, il biopic su Freddie Mercury, tagliate perché “avrebbero messo in imbarazzo” alcune persone durante la visione del film. Così la Corea del Sud resta un Paese attraente, pur nelle mille contraddizioni.