“La paura di essere smascherata, il terrore di non essere mai all’altezza, di non meritare niente”: la cosiddetta sindrome dell’impostore è quel fenomeno per cui una persona, pur avendo successo, non si sente mai abbastanza competente, meritevole, crede di aver raggiunto i suoi traguardi solo grazie alla fortuna, alle contingenze, e pensa che gli altri si siano sbagliati a darle credito. Non a caso, uno dei suoi timori più grandi è proprio quello di essere ‘scoperta’ e che la ‘frode’ prima o poi venga rivelata. “Faccio fatica anche solo a considerarmi meritevole di questa intervista”, racconta Florencia Di Stefano-Abichain, poliedrica conduttrice radiofonica e televisiva, content creator, autrice, speaker, podcaster, che sulla sindrome dell’impostore - che dice di portarsi dietro da trent’anni - ci ha scritto un libro.
Edito da Vallardi, si intitola ‘Pensavo di essere io... invece è la sindrome dell’impostore’, ed è un volume nato da una confessione fatta proprio alla casa editrice: “Vi ringrazio della fiducia ma ho una sindrome dell’impostore talmente grande che mi impedisce anche solo di immaginare di meritare di scrivere un libro”.
Invece, proprio la sindrome dell’impostore è diventato il soggetto del saggio che oggi si trova in tutte le librerie ed è stato presentato a L’Eredità delle Donne, festival che celebra l’empowerment femminile. “In questo libro cerco di trasmettere quello che ho capito di questa ‘condizione’, come conviverci e gestirla. Per farlo mi servo dell’unico metodo che conosco: partire da me, dalla mia esperienza” leggiamo nell’introduzione.
Pur non essendo una vera e propria patologia (“la parola ‘sindrome’ è fuorviante, perché non è una malattia, è una forma-mantis, una predisposizione dell’animo”, spiega Di Stefano-Abichain), questa condizione può creare blocchi emotivi tali da far perdere importanti occasioni, oppure insinuarsi nella quotidianità impedendo alle persone di godersi i trionfi, specialmente in campo lavorativo. Florencia Di Stefano-Abichain è in buona compagnia, perché ne soffrono in molti e molte, anche coloro il cui successo è più che conclamato: Michelle Obama e Sheryl Sandberg, per esempio, hanno raccontato di averla. Ma anche Emma Watson, Meryl Streep, Natalie Portman, Viola Davis, per citare alcune celebrità.
Che cos'è la sindrome dell'impostore
L’espressione è stata coniata nel 1978 da due psicologhe, Pauline Clance e Suzanne Imes. Nasce dall’osservazione di alcune professioniste che, pur avendo raggiunto un discreto successo, si sentivano perennemente inadeguate, ed erano accomunate dalla sensazione di essere arrivate a quel punto per un errore di valutazione.
Non si tratta di semplice insicurezza: “Quello che ho capito dalla mia esperienza è che il confine tra insicurezza e sindrome dell’impostore è molto sottile, ma penso si possa tracciare quando quest’ansia di essere ‘smascherata’ dagli altri diventa parte del tuo quotidiano. Quando qualsiasi cosa, dal Tinder-date al nuovo lavoro, ti fa sentire che si sono sbagliati, che devi dire di no altrimenti ti smaschereranno, e questa cosa ti crea un’ansia paralizzante. Quando diventa un blocco che ti impedisce di goderti quello che hai ottenuto secondo me è sindrome dell’impostore”.
“Ho la fortuna di essere una persona molto entusiasta, sono una yes girl, il mio primo istinto è sempre dire ‘sì’ alle nuove proposte. Il fatto è che 20 secondi dopo mi chiedo ‘ma perché ho accettato, ma come è possibile, devo ritrattare’. Nel mio caso la sindrome dell’impostore non mi trattiene dal fare le cose, ma me le fa fare con grande fatica, con senso di colpa, con una pressione che mi impedisce di godere dei benefici, della soddisfazione. Io penso di non essermi mai goduta nulla di quello che ho fatto nella vita”, racconta Florencia.
La sindrome dell’impostore porta ad avere un costante timore del giudizio altrui: ma come si coniuga con un lavoro in cui si è costantemente esposte, tra radio, televisione, social? “Male! Malissimo!”, scherza – ma non troppo – l’autrice. “Prima facevo un lavoro molto diverso, avevo una carriera come digital manager nelle multinazionali della moda e del lusso. Tendevo ad appiattire le mie inclinazioni, le mie aspirazioni, i miei talenti nel settore in cui lavoro ora perché credevo di non esserne degna, capace. Negli anni ho capito che il limite tra me e la felicità ero io, e che mi stavo auto-sabotando. Però ancora oggi faccio fatica a definirmi, faccio fatica anche solo a considerarmi meritevole di questa intervista”.
L'impostora e la generazione più svilita di sempre
Una peculiarità di questa condizione è che, pur essendo trasversale, colpisce le donne più degli uomini. Gli stessi studi condotti dalle psicologhe che l’hanno ‘scoperta’ si sono basati su campioni femminili, perché nelle professioniste “era stato riscontrato un maggiore sentimento di inadeguatezza... e francamente non c’è da sorprendersi!”, scrive Di Stefano-Abichain nel suo libro.
Non è una novità che il mondo del lavoro tenda a valorizzare meno le competenze femminili, a retribuire diversamente le donne rispetto agli uomini, a sminuirne il valore e a non colmare quel gender gap ormai tristemente proverbiale. Addirittura, riflette l’autrice, “La sindrome dell’impostora serve come scusa per tenerci a bada: se riconosci di averla, finisce che ti colpevolizzi invece che far ricadere la colpa su un’azienda, un ufficio, un sistema che non riconosce il valore delle donne. È importante avere la consapevolezza che se ci si sente sminuite, schiacciate, non valorizzate molte volte è colpa del contesto in cui ci troviamo. A un datore di lavoro fa comodo avere una dipendente che pensa di non meritare abbastanza”.
Ci sono inoltre alcune categorie di lavoratori e lavoratrici più soggetti alla sindrome dell’impostore. Gli artisti, i creativi, i lavoratori autonomi, i freelance, le partite IVA: persone che per forza di cose sono in costante competizione ed eternamente dipendenti dal giudizio altrui. Secondo Florencia Di Stefano-Abichain, la sindrome dell’impostore si può inoltre associare a una precisa generazione: “Io la definisco un’esperienza Millennial. Non esclusivamente, ma i Millennials hanno ereditato il peggio di tutte le generazioni: la precarietà, un mondo del lavoro che non li premia, non li valorizza mai, li svilisce costantemente, li paga poco. Condivide questa esperienza con la Generazione Z, ma allo stesso tempo sente la pressione sociale del dover dimostrare quello che le generazioni precedenti hanno fatto con minore sforzo. È una situazione che ti porta costantemente a sminuirti, a non sentirti mai apprezzato. La sindrome dell’impostore si basa anche sulla validazione altrui, ma questa per i Millennials non arriva mai”.
Non solo lavoro
E poi ci sono i social, vere e proprie vetrine su vite ‘perfette’ che creano una costante forma di confronto con gli altri. “Io lavoro con il digital, non sono una detrattrice di Internet e tutto quello che ne deriva, però mi rendo conto che le persone che sono cresciute senza i social riescono a mantenere quel giusto distacco tra la reale e virtuale”, riflette l’autrice. “Se un tempo al massimo ti confrontavi con i compagni di scuola, con gli amici al bar, ora il paragone è costante e con tutto il mondo. Per cui è più facile sentirsi sminuita, mai vincente, perché i prototipi di perfezione ce li hai sempre sotto gli occhi. Un suggerimento che mi sento di dare, e che si trova nel libro, è quello di cercare di staccare quando possibile, smettere di seguire persone che per qualsiasi ragione ci fanno sentire a disagio”.
Non è solo l’aspetto lavorativo che può subire l’influenza della sindrome dell’impostore. Secondo Florencia, esiste anche una forma di sindrome dell’impostore nella sfera emotiva e relazionale: “È quella meno visibile. È un po’ più subdola. Può accadere non solo nelle relazioni, ma anche con le amicizie. Di base è un costante confronto con gli altri. A me capitava quando uscivo con persone che reputavo più belle, intelligenti, di successo: stare al loro fianco invece di farmi essere fiera mi faceva pensare ‘ma io non mi merito di stare con una persona del genere’.”
Può capitare che queste situazioni siano campanelli dall’allarme, prosegue l’autrice “che sfocino in relazioni tossiche, in cui si viene costantemente sminuite, in cui si subisce gaslighting. Secondo me la sindrome dell'impostore è un indice che la relazione non è sana. Anche nelle amicizie: a me capita, nel mio settore, in cui conosco personaggi televisivi, scrittori, artisti. Io mi sento Calimero. Mi chiedo sempre ‘ma com’è possibile che mi trovino simpatica?’.”
Trasformare la sindrome dell'impostore in opportunità
La domanda sorge spontanea: Florencia Di Stefano-Abichain ha superato la sua sindrome dell’impostore? “Vivo molto meglio rispetto a qualche tempo fa. Nel libro suggerisco alcuni ‘trucchetti’ e strategie per tenerla a bada. Ma non l’ho sicuramente superata. Mi sento sempre una lestofante. Però ho degli strumenti in più per gestirla: quell’ansia deve diventare adrenalina, voglia di fare bene, impegno, cerco di trasformarla. Per esempio so che quando mi viene voglia di dire di no a un’occasione quella non è la vera me, è la me impostora”.
“Con il libro vorrei due cose”, conclude. “Far sentire meno sole le persone che vivono con queste sensazioni, e incoraggiarle a trovare gli strumenti per tenerla a bada: ci si può convivere e può diventare carburante per fare meglio”. Condividere le proprie esperienze è anche il succo de L’Eredità delle Donne: “Sono eventi in cui non si condividono solo idee, ma problemi quotidiani, disagi, sensazioni, sollievo quando capisci che non sei l’unica. È un safe space. Spesso nei convegni con tutti uomini parlare dell’esperienza femminile si riduce a ‘la donna che parla delle donne’, invece servono spazi sicuri in cui aprirsi, assimilare competenze, farsi forti di qualcosa: è importante. Questi eventi sono più che mai necessari”.