Elizabeth Bowes-Lyon, affettuosamente detta Queen Mum dai sudditi e mummy da sua figlia, è scomparsa nel 2002 all’età di centouno anni, conquistando il record di reale più longeva, salvo essere superata due anni dopo dalla principessa Alice, duchessa di Gloucester, defunta dopo aver raggiunto i centodue. Sorridente, teatrale nel parlare, in perenne ritardo di quindici minuti sui suoi impegni e con un debole per il Martini da cui si ravvede solo in tarda età (a favore del Gin tonic), è una delle figure più eminenti ma anche più simpatiche del XX secolo, tanto carismatica da concentrare in soli 157 centimetri di altezza un mix esplosivo di stoica dedizione al dovere e sfacciato edonismo.
Due regine e un sarto
Che stringesse le mani alla classe operaia stremata dai bombardamenti, visitasse le miniere di rame nell’Africa meridionale o salutasse dal balcone di Buckingham Palace, la regina madre non è mai stata vista senza il suo filo di perle indosso. Lo stesso si potrebbe dire di sua figlia, che riceve le sue prime perle in dono ancora bambina da suo nonno, re Giorgio v, nel 1935.
Elisabetta ii è una donna pratica, che non ama perdere tempo in decisioni relative al guardaroba, conservatrice in fatto di modelli e di brand. Perfino negli anni della gioventù, mentre la principessa Marina, duchessa di Kent, sfoggia abiti degli stilisti più famosi e Margaret sposa il New Look, Lilibet si affida al rassicurante taglio del sarto Norman Hartnell. Suggerito da sua madre, naturalmente.
Eleggere uno stilista di riferimento per disegnare i propri abiti aveva avuto per Elizabeth Bowes-Lyon lo scopo di costruire uno stile preciso da associare alla regalità, in tempi in cui non era comune usare la moda per creare un’immagine a uso e consumo del pubblico. A Hartnell l’allora regina chiedeva abiti eleganti e di confortevole vestibilità. Da indossare perfino nel rifugio antiaereo. Il couturier inglese le viene presentato da Lady Alice, che a lui affida il disegno per l’abito del suo matrimonio con il principe Henry duca di Gloucester, terzo figlio di re Giorgio v, e quelli delle due damigelle: le giovani principesse Elisabetta e Margaret. I disegni vengono approvati dal re e dalla regina Maria, e in questa occasione anche la duchessa di York diventa cliente di Hartnell. Pochi anni dopo, diventata regina, lo convoca a Buckingham Palace per chiedergli un piccolo miracolo: predisporre un intero guardaroba da viaggio per la visita di Stato in Francia, in soli quindici giorni, non per sfizio ma per necessità: aveva appena seppellito sua madre, Lady Strathmore, ma non poteva mantenere il lutto durante quella visita dall’enorme significato politico, in un momento in cui la Germania minacciava guerra in Europa. Così, il sarto lavora giorno e notte per rifare ogni singolo abito in un’unica tonalità: bianco, scelto come colore di lutto alternativo. Quel piccolo tesoro di abiti candidi, fluttuanti e a strati, contribuisce al successo della visita parigina.
Hartnell reintroduce la crinolina, scomparsa con la Prima guerra mondiale, per dare regalità agli abiti destinati alla regina; inaspettatamente glielo suggerisce re Giorgio vi, mostrandogli i dipinti vittoriani del pittore Winterhalter nella Royal Collection, come fonte di ispirazione. Consapevole di quale “magia” avesse operato, elevando la sua figura bassina e grassoccia a immagine di squisita eleganza, la regina consegna il sarto geniale in eredità alla figlia maggiore per i suoi primi vestiti da adulta: dall’abito da sposa a quello indossato per la sua incoronazione, nel 1953. E lo stesso fa con Margaret, che tuttavia si rende indipendente a livello di stile dalle due regine, sorella e madre. Gli abiti di Hartnell sono poco adatti a una ragazza sotto i trent’anni, ma vestire da “donna” è la mossa giusta per una sovrana alle prime armi impegnata nel costruirsi un’immagine di autorevolezza.
Il primo ordine importante arriva ad Amies già dopo l’incoronazione: a Sua Maestà servono un centinaio di outfit da portare nel royal tour condotto tra il ’53 e il ’54 in tredici paesi del Commonwealth, che segna l’inizio del suo regno. Amies trasforma il suo guardaroba da giorno inserendo abiti con gonne ampie e cinture a sottolineare la sua vita sottile, cappotti e giacche dai tagli sartoriali. Gli abiti sono curati, ma non sfacciatamente lussuosi e fonte di inesauribile riciclo. Nessuna donna indossa la sua ricchezza così alla leggera come Elisabetta ii; se la madre era una che «comprava abiti nuovi come le persone normali comprano uova», la figlia usa le sue “uova” fin oltre la data di scadenza.
Guardando bene al guardaroba di Elisabetta ii, si scopre che tutti i brand da lei amati non solo sono gli stessi da almeno cinquant’anni, ma sono stati scelti e condivisi con Elisabetta ii) dagli anni Quaranta, oltre a quelli di Vivien Leigh, Elizabeth Taylor e Marlene Dietrich. O di Launer: la regina madre acquista la prima borsa nel 1950 e ne regala una alla figlia dando inizio a una lunga collaborazione sancita nel 1968 dal Royal Warrant.15 A oggi Sua Maestà possiede circa duecento delle loro borse, incluse quelle ereditate dalla madre e i suoi tre modelli preferiti: una Royale in pelle nera, una Traviata in vernice nera e una terza borsa realizzata su misura. Anche per la lingerie le due regine si servivano dallo stesso brand, Rigby & Peller, così come anche Margaret e Diana: fortunatamente nessuna di loro ha vissuto abbastanza a lungo da vedere Elisabetta ii revocare al brand la Royal Warrant per aver svelato in un libro alcuni dettagli indiscreti sui suoi bra fitting.
Se pensate che abbinare i colori di abiti e cappelli sia un’“invenzione” di Elisabetta ii, dovrete ricredervi: è la Queen Mother a richiedere per prima accessori coordinati ai suoi ensemble, a partire dagli ombrelli Fulton,17 con fascia colorata per abbinarsi a ogni abito, e dai guanti di Cornelia James, che per lei realizza a mano centinaia di paia in cotone con finitura scamosciata abba- stanza lunghi da infilarsi sotto il cappotto (per evitare di esporre le braccia), fin dal viaggio di nozze. Madre e figlia vestono spesso di azzurro, che si intona con i loro occhi,18 ma Elisabetta ii predilige le tonalità accese per essere individuabile nella folla nonostante la bassa statura: «Ho bisogno di essere vista per essere creduta». Solo lei può vantare di aver dato nome a una sfumatura di rossetto: The Balmoral Lipstick. Lo indossa una volta all’anno per l’apertura del Parlamento dal 1953, quando lo commissionò a Clarins perché si abbinasse al mantello. «La regina e la regina madre non vogliono essere setter della moda» ha osservato una volta Norman Hartnell, ma certo Elizabeth Bowes-Lyon è stata la prima a usare l’abbigliamento per costruirsi un’immagine, e la figlia, come ogni bravo discepolo, ha superato il maestro, diventando l’esempio di power dressing migliore di sempre. Il suo guardaroba è un arsenale, progettato per trasmettere potere, stabilità, dignità regale.
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