Alberto Genovese non ricorre contro la condanna, ulteriore sconto della pena per effetto della riforma Cartabia
L’ex imprenditore del web ha rinunciato a ricorrere in appello contro la condanna di primo grado a 8 anni e 4 mesi ricevuta lo scorso 19 gennaio
andrea siravoCreato da

Sei anni, undici mesi e dieci giorni. È la pena che deve scontare Alberto Genovese per le violenze sessuali su due ragazze stordite con mix di droghe e la detenzione delle stesse.
L’ex imprenditore del web ha rinunciato a ricorrere in appello contro la condanna di primo grado a 8 anni e 4 mesi ricevuta lo scorso 19 gennaio. Con questa scelta il quarantacinquenne ha incassato un ulteriore sconto di pena di un sesto oltre a quello di un terzo per la scelta del rito abbreviato.
La riduzione è legata alle nuove norme introdotte dalla riforma Cartabia del processo penale in cui è previsto che il giudice applichi lo sconto nelle ipotesi in cui l’imputato non abbia impugnato la sentenza di condanna. Come fatto dalla difesa Genovese.
Nel calcolo del residuo pena pesa poi anche il cosiddetto ‘prefesofferto’, ovvero il periodo di oltre due anni trascorso in regime cautelare tra carcere e gli arresti domiciliari in una clinica per disintossicarsi.
Ora la palla passa all’ufficio esecuzione penale della procura che dovrà emettere un ordine di carcerazione. La partita per gli avvocati Luigi Isolabella e Davide Ferrari sarà quella di evitare a Genovese di rientrare in carcere. Un compito non semplice anche perché la violenza sessuale è reato ostativo alla concessione delle misure alternative al carcere.
Ha deciso di ricorrere contro la condanna, invece, Sarah Borruso, l'ex fidanzata di Genovese, condannata in abbreviato a 2 anni e 5 mesi per concorso nella presunta violenza di Ibiza ai danni di una modella 23enne.
Al fondatore di startup digitali nel settore assicurativo resta ancora da affrontare un secondo processo relativo alla seconda tranche d’inchiesta in cui i pm Rosaria Stagnaro e Paolo Filippini, coordinati dall’aggiunto Letizia Mannella, lo accusano di altri dieci episodi di violenza sessuale, di cui uno solo tentato, e detenzione o accesso a materiale pornografico e intralcio alla giustizia. Contestazioni che gli sono state formalizzate nei primi giorni di novembre con un avviso di chiusura delle indagini preliminari.
Durante le indagini gli investigatori della quarta sezione della Squadra mobile ha trovato in un computer portatile di Genovese un archivio digitale rinominato “La Bibbia 3.0”, dove erano salvati numerosi video e immagini di «soggetti minorenni privi di vestiti o in atteggiamenti sessuali espliciti».
Ci sono poi altri 11 file che sarebbero stati consultati dal quarantacinquenne poche settimane prima del fermo del novembre 2020, rinominati con «gli acronimi tipici delle parole chiave di ricerca esplicitamente pedopornografiche, quali ‘pthc’, ‘lolita’, ‘babyshi’ e ’lolifuck’».
C’è poi l’accusa in concorso con il suo amico Daniele Leali, assistito dall’avvocato Sabino Di Sibio, di aver minacciato e poi pagato con 8mila euro la giovane vittima della violenza subita a “Terrazza Sentimento” tra il 10 e l’11 ottobre di due anni fa.
Era stato Genovese - secondo le indagini della Squadra mobile - a consegnare la somma da offrire all’allora modella diciottenne per modificare quanto dichiarato nella denuncia della giovane contro di lui. Per il secondo filone i rappresentanti dell'accusa devono ancora depositare la richiesta di rinvio a giudizio.
I commenti dei lettori