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Com'è bella la sala da Trieste in giù: la carica dei super camerieri del Nord

Vincenzo Donatiello - Piazza Duomo
Vincenzo Donatiello - Piazza Duomo 
La seconda tappa del viaggio che ci porta a scoprire gli uomini e le donne (giovani, tutti under 40) che stanno dando nuova linfa al servizio nei ristoranti / La prima puntata: il Centro sud
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Hanno meno di quarant’anni e in molti casi meno di trenta. Considerato che Michelangelo ne aveva 33 quando dipinse la volta della Cappella Sistina e Leopardi appena 20 quando scrisse l’Infinito, la categoria della gioventù per lodare chicchessia, non vale. Nel caso di specie serve per circoscrivere la generazione di camerieri grazie ai quali l’eterno refrain “la sala è in crisi” va svuotandosi di significato come un fico avvizzito al sole. È vero invece che c’è un manipolo di miliziani perfettamente a proprio agio nei panni del cameriere, pronto a sobbarcarsi le infinite ristrettezze della vita a servizio della ristorazione, ma per molte e buone ragioni. Perché la sala è il luogo dove si sentono a casa, indossano la divisa come una seconda pelle, e obbediscono al comandamento del mettersi a servizio della felicità degli altri che è poi l’unico modo per guadare la propria. Ovvero una singolare mistura di egotismo – non è forse la sala un palcoscenico da apparecchiare tutti i giorni? – e di generosità. Ecco chi dove quando come e perché regge il vessillo della ristorazione d’alta quota, ovvero i supercamerieri under Forty da Trieste in giù. Abbiamo cominciato col Centro-Sud, e finiamo col Nord.

 

Filippo Billi (Osteria Billis, Tortona – Alessandria)

Filippo Billi - Osteria Billis 
Filippo Billi - Osteria Billis  

Di gemelli omozigoti divisi fra sala e cucina l’alta ristorazione italiana ne conta almeno due paia. Ai bros abruzzesi de La Bandiera, fanno da controcanto i due dell’Osteria Billis. Più “emotivo, sanguigno, estroverso” ma anche “egocentrico come tutti i cuochi del mondo”, Alessandro, in cucina. “Io sono più empatico”, è la qualità che si concede Filippo, che a dirla tutta tanto introverso non pare. Quel “osteria” nel nome è una traccia da non seguire letteralmente, perché dai templi della ristorazione di un tempo i Billi’s hanno mutuato il calore fino farne un manifesto nell’insegna, ma non le tovaglie a quadrettoni e il vino sfuso. Ma qui si fa fine dining, anzi fun dining, come recita l’azzeccato claim dell’impresa. E si fa avanguardia. “La sala è improvvisazione, nient’altro che improvvisazione, è la ragione per cui abbiamo deciso di fare corsi di teatro e di portamento”. Perché la recita a soggetto è un’arte che si impara. “Un’attrice ci ha insegnato gli esercizi per acquisire padronanza degli spazi fino agli angoli più remoti del nostro peculiare palcoscenico. Ci ha fatti camminare stringendo un bastone con la bocca dello stomaco, con l’obiettivo di non pestare i piedi, non invadere gli spazi dei colleghi. E ancora a “far replicare i miei modi da un altro, al punto che osservando la mia vignettatura io potessi specchiare i miei difetti e correggerli”. Silenzio in sala, il cameriere del futuro va in scena.

 

Giampiero Compare (La Cru, Verona)

Giampiero Compare - La Cru
Giampiero Compare - La Cru 

Campano di Benevento, stessi natali e stesso percorso di studi di Alfredo Buonanno (vedi supercamerieri del Centro-Sud) e persino stesso millesimo di nascita, 1995. Ma non è stata colpa d’Alfredo se Giampiero Compare, oggi al La Cru con lo chef Giacomo Sacchetto, ha vocato vita e tempo vitale all’arte nobile del servire. Dopo gli esordi al Kresios, un’esperienza lunga tre anni e molte avventure (tipo memorizzare le 45 portate o giù di lì di cui si compone il menù a mano libera di Giuseppe Iannotti e i cambi di altrettante posate selezionate a misura del piatto) dopo la quale il nostro ha deciso di mettersi in gioco ad altre latitudini. Con lui hanno traslocato l’espressione gentile anche di fronte a chi chiede un bel cubettone di ghiaccio in un Dom Perignon Rosè o il parmigiano in un risotto a base di pesce (salvo sudare freddo al momento di chiedere il formaggio grattuggiato allo chef in cucina). E soprattutto il portamento. Compare si muove su passi sicuri e busto eretto, ma senza rigidità, quello di chi si sente a proprio agio in sala ma lo sarebbe anche in passerella. “Merito di Enzo Ferri, maestro di karate, che ha condiviso con me i segreti di un portamento corretto”. 

 

Vincenzo Donatiello (Piazza Duomo, Alba)

Nella parte bassa della foto, Vincenzo Donatiello e la sua brigata di sala 
Nella parte bassa della foto, Vincenzo Donatiello e la sua brigata di sala  

Le mura di Piazza Duomo ricordano un Vincenzo Donatiello imperturbabile anche quella volta che un cliente gli chiese olio e aceto per condire l’Insalata 21, 31, 51, ovvero uno dei piatti che hanno fatto la storia dell’alta cucina italiana. Servì senza scomporsi, e senza tradire con il minimo cenno del viso la certezza di essere complice involontario di un’eresia (o una banalissima fesseria). O quell’altra che, a clienti ormai di casa in procinto di ordinare il vino, chiese: “Qual è la cifra oltre la quale sarei considerato un imperdonabile bastardo?”. Classe 1985, ama gli orologi da collezione e le supercar, da otto anni è il restaurant manager del ristorante affrescato da Francesco Clemente e illuminato dal talento di Enrico Crippa. È uno dei talenti più solidi e cristallini della ristorazione italiana e per molti dei suoi giovani colleghi (quasi coetanei) un maestro.

 

Marta Passaseo (L’Imbuto, Lucca) classe 1991

Marta Passaseo - L'imbuto
Marta Passaseo - L'imbuto 

Premio sommelier dell’anno 2021 per Identità golose, con queste motivazioni: "Pugliese, classe 1991, è professionista di lungo corso malgrado la giovane età. Grazia discreta, si muove su passi sicuri senza darsi arie. Versatilità e attenzione da nerd del mestiere, ha cuore di donna: la scienza del terroir è per lei innanzitutto materia sentimentale". Ma non di solo vino vive lei di sala. Nel corredo genetico della supercameriera è insito un sommissimo riserbo. Come quando: “Lui viene con la moglie la settimana prima e un’altra signora, la settimana dopo. Tu sorridi, li guardi, e fai: è la prima volta che venite nel nostro ristorante, vero? Benvenuti!”. A quel punto: “Lui ti guarda grato e si gode finalmente il pasto e… tutto il resto”.

 

Giacomo Pavesi (Ostreria dei fratelli Pavesi, Gariga di Podenzano - Piacenza)

Giacomo Pavesi - Ostreria Fratelli Pavesi
Giacomo Pavesi - Ostreria Fratelli Pavesi 

Battuta pronta, presenza (anche di spirito) importante, Giacomo Pavesi (1984) avrebbe dovuto fare il chirurgo estetico, ma si dà il caso che sia nato oste. È l’uomo di sala generazione Forty dell’Ostreria a Gariga di Podenzano (Piacenza), e divide l’impresa con i fratelli Camillo e Giacomo che a tratti lo considerano un male necessario. Un esempio: “Il mio gioco preferito? La finta comanda. Posso farlo quando non ci sono molti tavoli. Mando in cucina ordini falsi (per due, altrimenti si insospettiscono) e assaggio di nascosto per capire se c’è qualcosa di perfettibile. A fine serata mi svelo, e loro mi prendono a parolacce”. Diabolico? Forse. È che la funambolica arte del servizio richiede ingegno.

 

Thomas Piras (Contraste, Milano)

Thomas Piras - Contraste 
Thomas Piras - Contraste  


"Far star bene la gente quando tu non sei felice, è difficilissimo", parola di Thomas Piras, maitre, sommelier sardo di origini, meneghino di nascita, curriculum cosmopolita, classe 1985. Socio fondatore insieme a Matias Perdomo e Simon Press dell’insegna al civico 2 di via Meda. E siccome quella nei ristoranti è “una vita demmerda” come direbbe fuor di metafora l’imperatore dei camerieri Piero Pompili, come se ne viene fuori? Semplice, occupandosi innanzitutto della propria felicità. La ricetta di Contraste: “Aumentare il personale per avere la doppia possibilità di concedere a ciascuno due giorni di riposo netti a settimana e mantenere il locale aperto dal lunedì alla domenica”. Più vita per tutti e più allegria in sala.

 

Jessica Rocchi (Andrea Aprea ristorante, prossima apertura a Milano).

Jessica Rocchi - Ristorante Andrea Aprea 
Jessica Rocchi - Ristorante Andrea Aprea  

Perugina di Deruta, classe 1994. Carriera da velocista: diploma di terzo livello da sommelier a 19, a 21 da bartender. A 25 volava fra i tavoli del Danì Maison di Nino di Costanzo. A 27 si prepara a firmare la carta dei vini del ristorante Andrea Aprea, di prossima apertura. La Fiona May della sala italiana sa che “la carriera di un cameriere è come quella di un calciatore, a 40 anni game over”. E soprattutto sa come si fa. Come quella volta che: “Vidi un collega uscire dalla cucina e dirigersi con il piatto sbagliato al tavolo sbagliato, un evidente scambio di comande. Intervenni in volata, accompagnai piatto e collega e mi rivolsi al cliente con il mio sorriso migliore: ecco a lei la sorpresa dello chef, dissi. Ci farà sapere se ha colto nel segno”. E quello? “Se l’è proprio bevuta”.

 

Giandomenico Ruggiero (Le Calandre, Sarmeola di Rubano - Padova)

Giandomenico Ruggiero - Le Calandre
Giandomenico Ruggiero - Le Calandre 

I muscoli da maître li ha allenati al Pashà di Conversano quand’era poco più che un ragazzino, per poi affinarli in una esperienza fulminante alla Francescana e dunque metterli a frutto a Le Calandre di Massimiliano Alajmo, dove nel breve volgere di poche stagioni ha conquistato il rango di mâitre al fianco dello storico restaurant manager Andrea Coppetta Calzavara. Nei transiti stellari di una carriera da globe trotter, il pallido principe pugliese classe 1988 non ha tradito la vocazione precoce al servizio, un sentimento quasi (o senza quasi) religioso del servire, appuntato da un garbo naturale, grande compostezza, senso della misura. E un sangue freddo da guinness. Tipo quella volta che dopo aver parcheggiato la Rolls Royce, un signore in tuba e frac prese posto a tavola annunciando di essere in attesa di un compagno. Servito l’aperitivo di benvenuto, l’uomo dall’accento spiccatamente americano chiede il permesso di allontanarsi, va in auto e torna con un canguro di peluche che accomoda accanto a sé non prima di avergli messo il bavaglino. A quel punto ordina, per se stesso e il canguro di pezza. Appetizer, acqua, calice di vino, tutto per due. “È accaduto di tutto, ma quella del signore col canguro è stata un’esperienza incomparabile. Per mantenere il giusto contegno ho dovuto pensare alle cose più tristi e amare della vita, non scherzo. Ho servito il signore e il canguro senza scompormi fino all’ultimo pezzo di piccola pasticceria. E i miei colleghi come me. Ma Dio sa se volevamo ridere!”.

 

Manuel Tempesta (Seta del Mandarin hotel – Milano)

Manuel Tempesta - Seta, Mandarin Oriental
Manuel Tempesta - Seta, Mandarin Oriental 

È l’alter ego di Antonio Guida, non nel senso canonico per cui il frontman di sala si intende la voce narrante (anche) della cucina. Ma nel senso proprio del doppio di sé: stesso riserbo, stesso profilo umano, stessa delicatezza densa di talento e di dedizione al mestiere di Antonio Guida. È il ritratto del maître antidivo Manuel Tempesta, classe 1989, padovano di nascita, già passato per La Montecchia di Alaimo, i bollenti spiriti di Gordon Ramsay e il fair play di Michel Roux a Le Gavroche. E non c’è dubbio che sia stata una strada tutta in salita. “Mi ricordo i miei drammatici esordi a Londra, dove ero approdato soprattutto per imparare l’inglese. Dopo enne cv mandati a vuoto vengo accolto dal direttore di uno stellato italiano. Nel mio profilo avevo scritto “sommelier”, e il mio interlocutore legittimamente prese a farmi domande su vini tedeschi, austriaci e non so di quale altra provenienza. Ammutolii. Ma ho imparato la lezione per sempre: mai indossare scarpe più larghe della propria taglia”. Chi diceva “profilo basso, altissime prestazioni”? Beh, aveva ragione. E naturalmente “altissime” sottintende una super-attitudine al problem solving. Che tradotto vuol dire: “Ho riparato in corner un soffitto che grondava acqua. Ho dirottato in cucina, a fare la conoscenza dello chef, un tavolo che andava rimpiazzato a tempo di record. Stesso percorso lungo il quale ho accompagnato i dodici allegri (e un po’ chiassosi ospiti) che rischiavano di demolire l’atmosfera di quiete nella quale pranzava un solitario ospite, che naturalmente temevano-speravamo fosse un ispettore Michelin”.

 

Alberto Piras (Il Luogo di Aimo e Nadia, Milano)

Alberto Piras - Il Luogo di Aimo e Nadia
Alberto Piras - Il Luogo di Aimo e Nadia 

Divide la scena de Il Luogo di Aimo e Nadia – padre e madre della cucina italiana d’autore – con un supercameriere di lungo corso, il direttore di sala Nicola Dell’Agnolo, “uno che riesce a gestire le situazioni impossibili senza perdere una stilla della sua calma serafica”. Parola di Alberto Piras, classe 1986, sommelier di casa in via Privata Raimondo Montecuccoli. Nella storia di Piras c’è un prima e un dopo quella sera di febbraio, correva l’anno 2013, in cui un incidente in motorino gli impose uno stop coatto: otto giorni di coma più enne di riabilitazione e il memento dei medici: “È possibile che lei non ritorni la persona che era”. E invece c’è una variabile in grado di demolire anche il pessimismo science-based, ed è stata quella che ha permesso a Piras di rimettersi in piedi e in pista, traguardando appena un anno dopo il Luogo dei luoghi dell’alta ristorazione. È sua la firma in calce a un food pairing illuminato che accompagna un piatto-leggenda di monsieur Moroni: “Lo cherry con lo Spaghetto al cipollotto è un abbinamento hardcore. Frutto di una riflessione. Se da questo magnifico piatto togli il peperoncino la nota dominante è dolce, e con i dolci si fanno abbinamenti per concordanza, ovvero dolce con dolce. Da questo principio è partito l’abbinamento con lo cherry. Quando lo hanno provato Fabio e Alessandro sono impazziti, Nicola idem. Gli ospiti hanno risposto con lo stesso entusiasmo”. Ma dietro a un calice e un piatto, c’è dell’altro: “Quella intuizione ha segnato la mia rinascita”. Idee fulminanti e forza di volontà titanica, ovvero le materie di cui è fatto un supercameriere.