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I ristoranti, il Green pass e la sindrome di Tafazzi

I ristoranti, il Green pass e la sindrome di Tafazzi
(ansa)
Molti ristoratori (per fortuna una minoranza, anche se non piccola) non fanno i controlli previsti dalla legge. Un atteggiamento a dir poco autolesionistico per una categoria così duramente colpita da chiusure e fallimenti
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Ricordate Tafazzi? Il buffo e tragicomico personaggio interpretato da Giacomo Poretti del trio Aldo, Giovanni e Giacomo a partire dalla metà degli anni Novanta? In sintesi: in calzamaglia nera da lottatore di serie C passava il tempo a colpirsi allegramente, bontà sua, l’inguine con una bottiglia di plastica vuota. Niente altro. Eppure il tafazzismo è entrato prepotentemente nel linguaggio comune (e anche nei dizionari) per indicare un comportamento assurdamente e inutilmente masochistico.

 

E tutti conosciamo il significato della parola autolesionismo. La definizione che ne dà la Treccani non lascia spazio a fraintendimenti: “In senso fig., atteggiamento o comportamento, più o meno deliberato o consapevole, che finisce col danneggiare fortemente chi lo assume, o che costituisce comunque una rinuncia alla difesa dei propri interessi”.

Ecco, sono l’immagine, e la parola, che vengono in mente pensando ai ristoratori che abitualmente non controllano il Green pass. Il che fa a sua volta pensare, per quanto li riguarda, ad una improvvisa perdita della memoria. Chi la memoria invece non l’ha smarrita, non può non ricordare cosa è successo negli ultimi due anni: i lockdown, i ristoranti chiusi per mesi o aperti solo a pranzo, la cassa integrazione, il delivery e il take away come uniche forme di sopravvivenza. E i lamenti, le grida di dolore di chi si trovava improvvisamente senza fonti di reddito e, spesso, sull’orlo del fallimento (fallimento che, purtroppo, in molti casi, poi c’è stato davvero).

 

Quanti sono questi "smemorati"? Difficile dirlo, non esistono statistiche ufficiali. Ognuno avrà, e potrà fare, la propria valutazione personale. Quella di chi scrive, a Roma, è di circa il 50-60 per cento di ristoratori ligi alle regole. Altri avranno statistiche migliori, altri peggiori. Ma si tratta di esperienze individuali, senza valore scientifico. Empiricamente la Fipe, la Federazione italiana dei pubblici servizi, stima che nei centri cittadini il rispetto delle regole c’è nell’80 per cento dei casi, avvertendo però che in periferia e in provincia, si crolla al 60-65 per cento. Di certo c’è che sul totale dei controlli delle forze dell’ordine, le infrazioni che riguardano il mancato controllo del Green Pass nei ristoranti rappresentano il 67 per cento.

 

Com'è possibile che una categoria colpita così duramente assuma ora questi atteggiamenti, ripetiamolo, autolesionistici? Le risposte possono essere tante, sia pratiche che ideologiche. La paura di scontentare i clienti, magari storici; la voglia di evitare discussioni con No vax particolarmente insistenti e/o arroganti; i rischi di creare ritardi e attese, in particolare nei momenti di maggiore affollamento. Forse, anche, un malinteso senso della libertà individuale. Tutto vero, e tutto, entro certi limiti, anche ragionevole. Ma tutto ciò cozza in maniera stridente con almeno tre principi fondamentali. Il primo, che sembrerà banale, ma forse vista la situazione è utile ribadirlo, è che le leggi si rispettano, anche quando non piacciono, è la base del vivere civile. Il secondo è la necessità, l’obbligo diremmo, di tutelare la salute della stragrande maggioranza dei propri clienti che No Vax non sono (oltre che, ovviamente, quella del proprio personale). Il terzo, semplicemente utilitaristico e di buon senso, è che ogni mancato controllo contribuisce al rischio di nuove chiusure, giuste o sbagliate che siano. Eppure al tempo dei ristori, tutti, giustamente, si lamentavano dei ritardi e delle inefficienze nelle erogazioni. E ora che invece il rispetto di una regola è richiesto le voci si spengono?

 

Non a caso i ristoratori più accorti e attenti, a maggior ragione in vista del cosiddetto Super Green pass che entrerà in vigore dal 6 dicembre, su questo tema non usano mezzi termini. Ecco per esempio cosa ha dichiarato nella nostra inchiesta Piero Pompili, uomo di sala del Cambio di Bologna: "Dei ristoratori che non chiedono il Green pass, se devo essere sincero, penso tutto il male possibile: fosse per me ritirerei loro la licenza per almeno 3 mesi perché non si dovrebbe scherzare sulla salute a cominciare in realtà, da chi in quel ristorante ci lavora. Se non rispetti i tuoi collaboratori non mi stupisce che te ne possa fregare dei clienti".

 

Da Roma gli fa eco Valerio Capriotti, restaurant manager di Baccano: "Chi non lo chiede non ha nessun senso di responsabilità civica e civile né onestà intellettuale, di queste persone ho davvero una bassissima stima. Di controlli da parte delle forze dell'Ordine finora ne abbiamo avuti due, e mi auguro che ce ne siano degli altri, non solo nei luoghi della ristorazione ma ovunque servano, per esempio sui mezzi pubblici”. E gli esempi potrebbero moltiplicarsi.

E chi la pensa diversamente? Liberissimo ma, in caso di conseguenze negative, abbia almeno il buon gusto di non lamentarsi.