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Amore e rispetto (per i grandi cuochi italiani): il nuovo menu di Massimo Bottura

Massimo Bottura
Massimo Bottura (reuters)
I piatti attuali dello chef modenese sono una cavalcata attraverso i decenni e i "cucinieri" che hanno segnato per sempre la storia e la memoria del nostro gusto
4 minuti di lettura

Ma chi è Bottura? E’ il forsennato che zompetta alla maniera di Paperinik tra la cucina e la saletta per raccontare la carta delle pietanze agli ospiti, caricato a pallettoni come se non ci fosse un domani? E’ il figlio della buona borghesia modenese che pensa alle mense di qualità per poveri e diseredati (“nell’arco di cinque anni nei nostri Refettori prepareremo venti milioni di piatti”)? E’ l’illuminato che l’Onu nomina Ambasciatore di Buona Volontà? E’ il collezionista instancabile dei 33 giri di vinile sui quali sta incisa la storia della migliore musica pop e rock della seconda metà del Novecento? E’ il punto di riferimento eno-gastronomico - tanto colto quanto semplice - dei Potenti della Terra? Per dirla con Walt Whitman, padre nobile della poesia americana, Massimo Bottura è tutto questo, e di più: “Mi contraddico? Certo che mi contraddico: sono vasto, contengo moltitudini”. E se gli chiedi dove batta il suo cuore, per avere una risposta devi sederti a tavola, metterti nelle mani calde e affettuose di Beppe Palmieri e lasciarti servire: mentre ammiro il suo abito estivo di sartoria napoletana, il Maestro di Cerimonie presenta la carta dei vini e un cocktail che ha dedicato a Fulvio Pierangelini.

Ecco la chiave: stemperare la curiosità, cercare il vuoto mentale come in una sorta di esercizio zen: l’arciere provetto quando scaglia la freccia, non guarda mai il bersaglio. E nel momento in cui presenta i piatti del neonato menu, capisci che anche stavolta Bottura ha sparigliato. Sei spiazzato, la costruzione tradizionale della sequenza alla quale ti sei abituato e che ti aspettavi è volata via. Dell’aria respirata dallo spartito più recente, restano nel titolo gli amati Beatles: “With A Little Help From My Friends”. E’ una composizione epocale perché chiama direttamente in causa tutti i Cuochi che hanno fatto grande la cucina italiana, compresi cuochi che non lo amavano e che – anzi -  male parlavano di lui. Epocale e generoso. 
Un menu storico, perché vola sui piatti che non vanno dimenticati, ma anche perché ciascuno di essi gli offre lo spunto per una rilettura spettacolare. Certo, qualche purista o vecchista – ‘laudator temporis acti’ – potrà pure storcere il naso, eppure strabuzzerà gli occhi quando le possenti mascelle cominceranno a macinare caldo, freddo, salato e dolce (molto dolce), odori, profumi, e regalare ogni possibile emozione. Stavolta il Modenese non pretende di risvegliare sapori che languivano nei recessi della memoria (uno per tutti la Compressione di pasta e fagioli). Non rilancia nemmeno sui confortevoli e rassicuranti classici che lo hanno reso famoso: le cinque stagionature di parmigiano o i tortellini: tranquillo, quelli se li vuoi te li fanno al volo. Il gioco adesso sta nel rendere onore ai Padri della Patria, lasciando però intatto solo l’involucro delle loro creazioni, riempiendolo e arricchendolo alla sua propria maniera. Le identità e l’inganno. Le citazioni infinite mai fedeli a se stesse.

Il Riso Oro e Zafferano di Gualtiero Marchesi (in foto l'originale) è stato trasformato in un bon bon al momento del dessert
Il Riso Oro e Zafferano di Gualtiero Marchesi (in foto l'originale) è stato trasformato in un bon bon al momento del dessert 

 
Bene, s’avanzi dunque il primo concorrente: Volevo Essere Fritto - firmato Ciccio Sultano 2010. Un semplice gambero rosso rosso rosso, adagiato su un semplice piatto, da mandare giù in un boccone che raccoglie l’anima del crostaceo, inseguito da Giancarlo Perbellini (il Wafer si veste d’oro 2003) e da Fabio Picchi (Minestra di pane - 1979): peccato che il primo si riveli un ceviche di pesce e il secondo un… brodo. Scrocchia il genio ciociaro di Salvatore Tassa, assurto a fama imperitura per la Cipolla fondente che inventò nel 1990: ebbene in sua vece una sfoglia di pane croccante, da mangiare con le mani come una fetta biscottata: sfoglia di parmigiano, cipolla ovviamente, salsa burro al vermouth. Ci comincerei il breakfast ogni mattina. Gualtiero Marchesi, il duro che pure raramente spendeva parole di stima per gli altri, viene evocato due volte: prima con l’Insalata di spaghetti freddi (1985) in cui compare un aereo quadro composto da verdure, pasta di seppia, miso di spaghetti, governato al centro da un cucchiaio di caviale, poi col Riso Oro e Zafferano, trasformato in un bon bon al momento del dessert. La stella maestra per chi ha vinto, resta la cultura, non come sfoggio di sapere ma come rivendicazione di un approccio umanista e inclusivo che troppo è andato disperso. Presentando due dei più giovani della brigata di cucina, un asiatico e un americano, spiega: “Siamo un gruppo di famiglia che rappresenta la biodiversità. E tutti noi, come questi ragazzi, siamo giocatori. Così la Francescana diventa il Real Madrid!”. “Vecchio, dici che esagero? Beh, ho cominciato rileggendo l’Artusi, e dietro quello che stai mangiando ci sono tre mesi di lavoro, e cento piatti: ora a tavola c’è la sintesi!”. Con intelligenza, Bottura evita di parlare di arte e non cade nella facile trappola di presentarsi come un artista. E di fronte all’incalzare dei camerieri felpati, concede un paragone che sente più consono: “Il menu è costruito come uno spartito musicale e mille note risuonano in ciascuno”. 

"La cipolla fondente di Salvatore Tassa (in foto), diventa una sfoglia di pane croccante, da mangiare con le mani come una fetta biscottata: sfoglia di parmigiano, cipolla ovviamente, salsa burro al vermouth"
"La cipolla fondente di Salvatore Tassa (in foto), diventa una sfoglia di pane croccante, da mangiare con le mani come una fetta biscottata: sfoglia di parmigiano, cipolla ovviamente, salsa burro al vermouth" 


Prendi le Capesante ripiene di mortadella (Fulvio Pierangelini – 2005), in cui domina una formidabile nota acida di mela marinata e prendi lo stupefacente concentrato di verdure che pure arriva in memoria del Controfiletto del San Domenico (Nino Bergese – 1975): “Altro che carne! Questa melanzana con la sua glassa fumée e la salsa alle erbe è un minuetto che lentamente ci prepara al gran finale…”. Ci vorrebbe un volumetto illustrato - a colori - per raccontare il pranzo: due invenzioni di Mirella Cantarelli, dal Savarin di riso (1960) alla Faraona alla creta (1963), maritata qui al Risotto alla Bergese (1974): il profumo è quello dell’acqua di parmigiano, mentre la nobile gallina è ripiena di pane e frattaglie. E ancora il Sovrano della Cacciagione, il più stellato dello Stivale, Igles Corelli (col Germano ripieno di anguilla – 1985, e il Budino di cipolla - 1983), un crème caramel di foie gras nelle vesti di pre-dessert. Ma sull’alto del podio a salire è – udite udite – Gianfranco Vissani, il quale non ha mai nascosto la sua antipatia per Bottura. Un piatto di genio assoluto: la Zuppa Fredda di Carbonara (2020) che arriva sotto forma di cono, un cono fatto di fili di buccia di banana. Nel cono - che divoro sognando il centimetro quadrato di cioccolato nascosto nella punta del cornetto Algida della mia infanzia - l’essenza golosa di una crema inglese al pepe, con guanciale, gelato di pecorino e caviale. Così, assurge al rango della Tavola Suprema quella banana sbollentata alla quale lo chef fu costretto a ricorrere e a improvvisare quando di colpo si trovò senza pane da dare a centinaia di poveri che aspettavano affamati a Rio de Janeiro.  

E' il Camouflage, piatto di Bottura anno 2012, a chiudere la cavalcata attraverso oltre 6 decenni di alta cucina italiana 
E' il Camouflage, piatto di Bottura anno 2012, a chiudere la cavalcata attraverso oltre 6 decenni di alta cucina italiana  


Possibile mai che non compaia un’invenzione firmata dal padrone di casa? Certo che no: è il Camouflage a chiudere il viaggio attraverso più di mezzo secolo, sessantuno anni per l’esattezza, Camouflage 2012: una conchiglia che nasconde alla vista ma non al palato una stratificazione di cioccolato, foie gras e civet di una lepre che – alla Lewis Carrol – fugge a nascondersi nel bosco. Allora noi, esploratori garbati, la mangeremo piano piano e rispettandone il carattere. Come nelle fiabe, ricorda Massimo, “maneggiamo l’irrazionale”…