Marco Cahssai all’Atman a Villa Rospigliosi: la naturalezza dell’originalità
di Marco Colognese
Lamporecchio, colline pistoiesi, un contesto di leggiadra bellezza quasi selvaggia. Marco Cahssai, cuoco che qui a Villa Rospigliosi ha preso le redini del ristorante Atman dopo una lunga militanza a fianco di Igles Corelli, sostiene: “la villa è magnifica, ma la vera cattedrale secondo me sono queste colline toscane che di fatto la contengono”
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In effetti non è esagerato rimanere stupiti di fronte all’imponente fascino di questo edificio fatto costruire come residenza estiva da Clemente IX, unico papa pistoiese che però non fece in tempo a godersela perché morì prima che potesse essere ultimata.
Cahssai è un uomo di grande cultura, oltre ad avere una mano che sa trasmettere ai piatti vibrazioni di estrema identità: “credo che Villa Rospigliosi sia un luogo adatto per la cucina che cerco di fare qui, una sorta di cornice fiamminga attorno a un quadro più contemporaneo, una sorta di verismo italiano. Cerco di guardare a un territorio fantastico come quello che abbiamo qua fuori, che non può essere trascurato. Perché credo che la vera avanguardia stia nella nostra biodiversità: noi cuochi abbiamo sempre ammirato l’estero, ma dovremmo invece pensare alla grande cucina italiana.”
Quella di Marco Cahssai è senza dubbio un esempio di cucina neoavanguardista che riesce a colpire nel segno, perché non arriva mai a essere autoreferenziale e soprattutto mira con intelligenza all’espressione netta del gusto.
Questo avviene attraverso tre menu, ciascuno ben caratterizzato: il primo si chiama Diviana “la dea dei boschi e protettrice dei parti dolorosi”, basato sulla caccia, sulla quale “c’è una diatriba in relazione a una sua presunta crudeltà, ma in realtà è onesta e rappresenta il miglior modo per cibarci: non c’è sfruttamento animale e umano, né servono ingenti risorse, è sostenibile, non c’è vacca alla quale venga sfilato il vitellino, quindi non ci sono parti dolorosi”.
Poi ancora c’è Aruspicio, ispirato dalla tradizione etrusca di leggere le interiora degli animali, probabilmente l’unico menu in Italia a proporre dieci corse tutte dedicate al genere.
Infine, ecco Ultroneo “un termine che è bellissimo sinonimo di spontaneo, tutto dedicato al vegetale e a quello che di verde abbiamo qui attorno”.
È affascinante ascoltare Cahssai, ma ancor più interessante è assaggiare i suoi piatti, preceduti da una sequenza di amuse bouche che si rivela una sorta di rituale propiziatorio.
Per non parlare della varietà di pani di rara bontà che vanno gestiti con attenzione per evitare di eccedere e cadere in una tentazione prossima all’inevitabile.
E allora le danze si aprono delicate con il sarago à la presse con la sua bottarga e aglio rosa.
Ecco ancora i ricci di mare con mela verde e un irresistibile brodo di alghe emulsionato al burro. Consistenze seduttive e intensità crescenti si ritrovano nel calamaro “in interezza” cotto in padella di ferro con umore dei suoi occhi e prezzemolo.
L’eleganza si palesa soavemente in “rudis aqua” e uova di trota, piatto che precede un altro picco di gusto, quello degli “spaghetti tiepidi di pomodoro crudo”.
Con i ravioli ripieni di quinto quarto di cacciagione, lieviti, bietole e ibisco si raggiungono livelli di altissima, pura soddisfazione, così come con le squisite tagliatelle al ragù di frattaglie di cortile e burro all’elicriso.
Tecnica e cuore comunicano all’unisono nell’insalata fredda di lumache, funghi cardoncelli, topinambur e tartufo ed è un piccolo capolavoro anche il cervello in scapece con Parmigiano Reggiano, acciuga ed erba cedrina.
Con capriolo, erbe amare, carpione e caffè si chiude una sequenza di piatti di singolare personalità.
L’originalità non manca anche nella conclusione (quasi) dolce con il riso Carnaroli, polline, camomilla e miele d’indaco.
Perché, come dice Cahssai: “Siamo pieni di luoghi unici che non abbiamo messo a fuoco, mi piacerebbe che come cuochi seguissimo un filone che ci portasse ad essere osservati e non invece quelli che guardano”.