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In Valtellina dove cresce il grano saraceno base dei Pizzoccheri

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Eccolo il grano saraceno, il non-cereale che ha nutrito generazioni e sostenuto secoli di economia montana. Eccolo perché c’è ancora - e più di prima - lassù a Teglio nel caposaldo del suo piatto-simbolo, il pizzocchero, ancor oggi “scarrellato” come un tempo secondo ricette tramandate da generazioni di nonne, mamme e cuochi.
Un manipolo di coraggiosi ne ha tenuto vive memoria e coltivazione nel dopoguerra, quando l’industrializzazione e l’abbandono della montagna si è fatta sentire anche quassù: quasi scomparso tra gli anni Settanta e Ottanta, con la produzione ridotta a poco più di un ettaro proprio nella piccola Teglio. Oggi lo si ritrova in 35 ettari diffusi nei due versanti valtellinesi e anche nella vicina Valchiavenna, lungo le vie alpine che salgono verso i Grigioni svizzeri.
Saraceno perché “foresto”, portato quassù chissà da dove e chissà quanto tempo fa e, per certo coltivato già dal XV secolo, con una tradizione di oltre mezzo millennio che lo ha messo tra i simboli identitari dell’agricoltura valtellinese e chiavennasca. Un elemento nato da un’agricoltura dura e di sussistenza che, negli anni, si è mutato in attrazione, ricerca, avanguardia gastronomica.
Il grano saraceno (che cereale non è, bensì una poligonacea, erbacea perenne) ha probabilmente raggiunto il medioevo europeo percorrendo le vie di collegamento con l’estremo oriente, dove era già diffuso – dalla Siberia alla Cina - nell’Anno Mille.
Oggi Andrea Fanchi è presidente dell’ Associazione Produttori Grano Saraceno e Cereali Alpini di Montagna, che riunisce oggi una ventina di produttori. Ad essi se ne aggiungono altre diverse decine, in tutta la provincia di Sondrio, dove la rinascita “è stata costante a partire dagli Anni Novanta: oggi arriviamo a circa 35 ettari in provincia di Sondrio, 160 mila metri coltivati solo qui a Teglio, in crescita rispetto ai 153 mila dello scorso anno. Un balzo in avanti partito dalla memoria dei pochi custodi di questa coltura che, negli Anni Ottanta, hanno saputo resistere”.
Ancora alla fine della Seconda Guerra Mondiale, a Teglio il 60% del territorio ne accoglieva la coltivazione, “che ben si presta a seguire alle altre colture a maturazione estiva, come la segale o alcune varietà di patate. In passato veniva messo persino all’interno dei filari di vite arrampicati sui terrazzamenti. Il grano saraceno si semina a luglio e si raccoglie dopo un ciclo colturale di 90 giorni”.
La raccolta è in corso in questi giorni “dopo un anno non facile, in cui il clima ha purtroppo influito negativamente” aggiunge Andrea Pelacchi, giovane produttore che coltiva in frazione San Giovanni.
Prima la siccità nella semina di luglio, poi temporali forti nel periodo dopo la fioritura e il forte vento che ha allettato il prodotto: “Probabilmente le rese saranno più contenute rispetto allo scorso anno, 7 quintali/ettaro contro gli 8 medi consueti. Ma la qualità del prodotto appare buona e questo ci rassicura”.
Un tempo la raccolta era manuale, ora sono le mietitrebbie ad arrampicarsi sui terreni scoscesi: anche la coltivazione del grano saraceno è parte di quell’agricoltura eroica che, qui in Valtellina, equivale alla normalità.
“Un prodotto che è identitario della nostra valle e di un tessuto agroalimentare che parte dal campo per arrivare alla tavola” dice il presidente di Coldiretti Sondrio Silvia Marchesini. “Con il saraceno si ottiene una farina straordinaria, in purezza priva di glutine, utilizzata per biscotti, chiscioi, sciatt, polente, pasta fresca: sono le ricette tramandate dai nonni e genitori: ed è bello leggere nei nostri giovani agricoltori la volontà di un impegno nel mantenere viva questa memoria. E’ un esempio virtuoso di identità territoriale che coniuga terra e gastronomia e, speriamo, sempre più un volano di promozione turistica”.