A settembre saranno trent’anni che con la nostra guida Osterie d’Italia seguiamo l’evoluzione di un modello che è, senza dubbio, tornato a essere il riferimento per la ristorazione italiana. L’osteria, per come si è imposta nell’immaginario collettivo, è un luogo sviluppatosi tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Nelle osterie si serviva riparo, qualche tavolo, molto vino e poco, pochissimo cibo. Fino agli anni Sessanta le piole – come le chiamiamo noi, qui in Piemonte –, non offrivano che qualche piatto caldo, spesso ottenuto con i prodotti dei vicini mercati. Sul bancone si muoveva con mestiere l’oste che sbicchierava vino bianco e rosso e rimestava la pentola di trippa, bollito o minestrone. È a lui che il cliente aveva affidato il proprio destino per il tempo passato seduto ai tavoli a cantare, giocare a carte, discutere o semplicemente riposare.
È il periodo tra gli anni Sessanta e Ottanta a trasformare le osterie in luoghi dove si serve cucina casalinga, in un ambiente semplice e a un prezzo popolare. Sono anche quelli gli anni, ahimè, in cui il termine assume un significato perlopiù negativo, associato alla bettola dove si mangia male e si beve peggio. Così, mentre l’osteria sembrava essere destinata a finire, sorpassata dalla sua cattiva fama e da altri modelli più al passo con i tempi – il fast food, la pizzeria o il pub –, decidemmo di raccontarla in quello che ai tempi definimmo il Sussidiario del mangiarbere all’italiana.
Trent’anni dopo questi luoghi nel frattempo però, non solo sono divenuti la tipologia di ristorazione più in forma che il nostro Paese conosca, ma si sono moltiplicati e hanno assunto forme diverse tra loro – osteria moderna, tradizionale, agriturismo, ristorante di tradizione – accomunate dal piacere di accogliere il cliente, farlo stare bene e offrirgli con semplicità e a un prezzo corretto il meglio che il territorio metta loro a disposizione. Un luogo che non insegue le mode, ma spesso le anticipa, non scimmiotta il ristorante importante ed è fiera delle sue radici popolari.
La Tradizionale - Di Pietro, Melito Irpino
È l’osteria nella sua forma più autentica. Ai tavoli di questi locali si mangiano pietanze che ripropongono la tradizione in modo quasi filologico, con poche o nessuna concessione per la contemporaneità. L’attenzione alle materie prime è altissima e spesso la provenienza di queste è strettamente locale. La sala è gestita in modo informale e semplice, senza orpelli o manierismi. A gestirla in moltissimi casi sono famiglie che si dividono tra cucina e tavoli e riescono, con calore e simpatia, a far sentire l’ospite a casa loro. Bellissimo esempio è l’osteria Di Pietro di Melito Irpino (AV). Ricostruita nel 1962 dopo il terremoto questo bel locale è oggi gestito da Enzo Di Pietro, dalla moglie Teresa e dalla figlia Anita. In un ambiente caldo la famiglia Di Pietro propone piatti tramandati di generazione in generazione come i fusilli con la ciambottella o il coniglio alla cacciatora.
La moderna - Gallo Rosso, Filottrano
A caratterizzare l’osteria moderna non è tanto l’arredamento che può essere minimalista, con tavoli senza apparecchiatura e posate di design oppure tipico, con attrezzi contadini alle pareti e tovaglie a quadretti. È invece la scelta di puntare su una cucina che guarda innanzitutto al territorio e alla sua materia e la usa in piatti che possono rifarsi alla tradizione o ripensarla con piglio moderno e inedito. Questi locali sono spesso gestiti da giovani, il più delle volte amici di lunga data con la passione per il vino (magari naturale) che provano a modellare in chiave contemporanea una lunga storia. A Filottrano, vicino ad Ancona, si trova Gallo Rosso una piccola osteria moderna gestita da Andrea Tantucci ( in cucina) e Gessica Mastri ( in sala). Sono loro a scegliere quotidianamente i migliori prodotti che le colline intorno al locale gli mettono disposizione e a cucinarli in semplici piatti dove al centro c’è il sapore e la loro valorizzazione. Un esempio su tutti l’oca cotta nel verdicchio o i ravioli di marchigiana. Bellissima, pur non estesa la selezione dei vini e imperdibile la proposta dei formaggi. La specialità: lingua bollita con erbe trovate e olio di mignola
Il Ristorante di tradizione - Cacciatori, Cartosio
C ’era una volta il ristorante borghese. Anzi c’è ancora. Di borghese, però, ha solo gli arredi, sobriamente eleganti, e qualche formalità del servizio. Spesso questa tipologia di locale era su importanti strade di passaggio che oggi sono invece percorse solo dai viaggiatori più avventurosi che non vogliono piegarsi all’autostrada. Se li si guarda da vicino questi luoghi sono ristoranti più eleganti di quanto magari non ci si aspetterebbe da un’osteria, ma che hanno un fortissimo senso dell’accoglienza e una capacità rara di proporre la tradizione senza mai farla apparire vecchia ma tenendola sempre al passo con i tempi. Ed è in questi aspetti che sono uno dei tanti modi di fare osteria oggi. Tra questi c’è senza dubbio il Ristorante Cacciatori di Cartosio. Siamo tra il Piemonte e la Liguria, e qui la famiglia Milano porta avanti da 200 anni una tradizione solida fatta di verdure, erbe e animali da cortile. La sala è affidata a Massimo, mentre la cucina è nelle mani di Federica Rossini che prepara tutto su una vecchia stufa a legna. Ravioli straordinari, pollo alla cacciatora, frittate e peperoni ripieni sono solo alcune delle proposte.
L'agriturismo - Le Frise, Artogne
Gli agriturismi sono un modello in grande crescita. L'idea di poter mangiare piatti preparati con verdure coltivate e carni allevate a pochi metri dal proprio tavolo è stata una delle chiavi del successo di questa tipologia. Non tutti sono osterie, ma quando all'autoproduzione di materie prime si unisce una cucina che si rifà in modo più o meno rigoroso alla tradizione e all'accoglienza attenta e calorosa, allora il gioco è fatto. Ad Artogne, in provincia di Brescia, per esempio si trova Le Frise, il locale di Gualberto Martini, allevatore di capre e appassionato oste. Gualberto si divide tra la produzione di formaggi, tra cui il Fatulì Presidio SlowFood, l'allevamento di capre, galline, maiali e il lavoro nell'osteria, ospitata in una cascina dall'aspetto secentesco. In tavola arrivano risotti, lasagne, zuppe, oca al forno o capretto arrosto oltre, ovviamente, a una bellissima selezione di salumi e formaggi tutti da provare.
È il periodo tra gli anni Sessanta e Ottanta a trasformare le osterie in luoghi dove si serve cucina casalinga, in un ambiente semplice e a un prezzo popolare. Sono anche quelli gli anni, ahimè, in cui il termine assume un significato perlopiù negativo, associato alla bettola dove si mangia male e si beve peggio. Così, mentre l’osteria sembrava essere destinata a finire, sorpassata dalla sua cattiva fama e da altri modelli più al passo con i tempi – il fast food, la pizzeria o il pub –, decidemmo di raccontarla in quello che ai tempi definimmo il Sussidiario del mangiarbere all’italiana.
Trent’anni dopo questi luoghi nel frattempo però, non solo sono divenuti la tipologia di ristorazione più in forma che il nostro Paese conosca, ma si sono moltiplicati e hanno assunto forme diverse tra loro – osteria moderna, tradizionale, agriturismo, ristorante di tradizione – accomunate dal piacere di accogliere il cliente, farlo stare bene e offrirgli con semplicità e a un prezzo corretto il meglio che il territorio metta loro a disposizione. Un luogo che non insegue le mode, ma spesso le anticipa, non scimmiotta il ristorante importante ed è fiera delle sue radici popolari.
La Tradizionale - Di Pietro, Melito Irpino
È l’osteria nella sua forma più autentica. Ai tavoli di questi locali si mangiano pietanze che ripropongono la tradizione in modo quasi filologico, con poche o nessuna concessione per la contemporaneità. L’attenzione alle materie prime è altissima e spesso la provenienza di queste è strettamente locale. La sala è gestita in modo informale e semplice, senza orpelli o manierismi. A gestirla in moltissimi casi sono famiglie che si dividono tra cucina e tavoli e riescono, con calore e simpatia, a far sentire l’ospite a casa loro. Bellissimo esempio è l’osteria Di Pietro di Melito Irpino (AV). Ricostruita nel 1962 dopo il terremoto questo bel locale è oggi gestito da Enzo Di Pietro, dalla moglie Teresa e dalla figlia Anita. In un ambiente caldo la famiglia Di Pietro propone piatti tramandati di generazione in generazione come i fusilli con la ciambottella o il coniglio alla cacciatora.
La moderna - Gallo Rosso, Filottrano
A caratterizzare l’osteria moderna non è tanto l’arredamento che può essere minimalista, con tavoli senza apparecchiatura e posate di design oppure tipico, con attrezzi contadini alle pareti e tovaglie a quadretti. È invece la scelta di puntare su una cucina che guarda innanzitutto al territorio e alla sua materia e la usa in piatti che possono rifarsi alla tradizione o ripensarla con piglio moderno e inedito. Questi locali sono spesso gestiti da giovani, il più delle volte amici di lunga data con la passione per il vino (magari naturale) che provano a modellare in chiave contemporanea una lunga storia. A Filottrano, vicino ad Ancona, si trova Gallo Rosso una piccola osteria moderna gestita da Andrea Tantucci ( in cucina) e Gessica Mastri ( in sala). Sono loro a scegliere quotidianamente i migliori prodotti che le colline intorno al locale gli mettono disposizione e a cucinarli in semplici piatti dove al centro c’è il sapore e la loro valorizzazione. Un esempio su tutti l’oca cotta nel verdicchio o i ravioli di marchigiana. Bellissima, pur non estesa la selezione dei vini e imperdibile la proposta dei formaggi. La specialità: lingua bollita con erbe trovate e olio di mignola
Il Ristorante di tradizione - Cacciatori, Cartosio
C ’era una volta il ristorante borghese. Anzi c’è ancora. Di borghese, però, ha solo gli arredi, sobriamente eleganti, e qualche formalità del servizio. Spesso questa tipologia di locale era su importanti strade di passaggio che oggi sono invece percorse solo dai viaggiatori più avventurosi che non vogliono piegarsi all’autostrada. Se li si guarda da vicino questi luoghi sono ristoranti più eleganti di quanto magari non ci si aspetterebbe da un’osteria, ma che hanno un fortissimo senso dell’accoglienza e una capacità rara di proporre la tradizione senza mai farla apparire vecchia ma tenendola sempre al passo con i tempi. Ed è in questi aspetti che sono uno dei tanti modi di fare osteria oggi. Tra questi c’è senza dubbio il Ristorante Cacciatori di Cartosio. Siamo tra il Piemonte e la Liguria, e qui la famiglia Milano porta avanti da 200 anni una tradizione solida fatta di verdure, erbe e animali da cortile. La sala è affidata a Massimo, mentre la cucina è nelle mani di Federica Rossini che prepara tutto su una vecchia stufa a legna. Ravioli straordinari, pollo alla cacciatora, frittate e peperoni ripieni sono solo alcune delle proposte.
L'agriturismo - Le Frise, Artogne
Gli agriturismi sono un modello in grande crescita. L'idea di poter mangiare piatti preparati con verdure coltivate e carni allevate a pochi metri dal proprio tavolo è stata una delle chiavi del successo di questa tipologia. Non tutti sono osterie, ma quando all'autoproduzione di materie prime si unisce una cucina che si rifà in modo più o meno rigoroso alla tradizione e all'accoglienza attenta e calorosa, allora il gioco è fatto. Ad Artogne, in provincia di Brescia, per esempio si trova Le Frise, il locale di Gualberto Martini, allevatore di capre e appassionato oste. Gualberto si divide tra la produzione di formaggi, tra cui il Fatulì Presidio SlowFood, l'allevamento di capre, galline, maiali e il lavoro nell'osteria, ospitata in una cascina dall'aspetto secentesco. In tavola arrivano risotti, lasagne, zuppe, oca al forno o capretto arrosto oltre, ovviamente, a una bellissima selezione di salumi e formaggi tutti da provare.