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Cristina Messa: "Studi interdisciplinari per la sfida del climate change"

Cristina Messa, ministra dell'Università e della ricerca
Cristina Messa, ministra dell'Università e della ricerca 
Cristina Messa, ministra dell'Università e della ricerca. "La soluzione al cambiamento climatico passa attraverso un dialogo stretto fra più discipline". Interverrà al Festival di Green&Blue il 6 giugno
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Siamo in un momento di passaggio, anche nella formazione. Dobbiamo mantenere da un lato la forza delle nostre università sul piano teorico, dall'altro aumentare l'interdisciplinarietà. La soluzione di problemi complessi, come quella del cambiamento climatico, passa attraverso un dialogo molto più stretto fra le varie discipline". La ministra dell'Università Cristina Messa lo racconta in collegamento video commentando i tanti corsi di laurea, dottorati e borse di studio dedicati all'ambiente che sono apparsi negli ultimi tempi. Laureata in Medicina e Chirurgia con specialità in Medicina Nucleare, professore di Diagnostica per immagini, dal 2013 al 2019 è stata rettore dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca, prima donna alla guida di un ateneo milanese.   

"Abbiamo settori molto specifici nelle università - prosegue la ministra - a tal punto che alcuni contano su pochi docenti in tutta Italia. Ecco, forse questo non è più possibile. Lo studente che esce dall'università, magari studiando gli effetti del cambiamento climatico in agricoltura, deve avere ovviamente basi solide in chimica e biologia ma anche sul lato economico. Bisogna lasciare che le università possano costruire i corsi più adatti per risolvere i grandi temi che dobbiamo affrontare". Un piano ambizioso.  

"Il punto cruciale per arrivare a una vera trasversalità dei saperi è una riforma, che deve essere fatta entro la fine di quest'anno, così che i docenti possano collaborare in maniera differente rispetto al passato. Riforma che oltre ad essere giuridica deve anche essere della mentalità e cultura di fondo. Poi ci sono gli incentivi, iniziando dalle borse di studio per le studentesse di ingegneria e informatica dove la presenza femminile è scarsa, fino all'aiuto per i fuorisede per chi vuol studiare lontano da casa. In ultimo le borse di studio per i dottorandi che in parte sono dedicate sia all'ambiente e sia al digitale".   

Se dovesse indicare a suo figlio dove studiare, quale ateneo consiglierebbe?
"Tutte le regioni in Italia offrono percorsi legati all'intelligenza artificiale o l'ambiente. Ci sono delle eccellenze come l'Emilia-Romagna nell'intelligenza artificiale, ma si trovano degli atenei molto competitivi anche a Cosenza ad esempio. Direi che da un lato bisogna aiutare gli studenti a scegliere bene e gli atenei a sapersi valutare correttamente rispetto a quel che offre il resto del Paese e dell'Europa. Partiamo comunque da una base buona: abbiamo un sistema universitario meno elitario di quello francese o anglosassone e possiamo imparare da quel che ha fatto la Spagna e l'Olanda che è stata la prima a scardinare la rigida divisione delle singole discipline e a puntare sull'insegnamento in inglese".  


In Francia però sono più incisivi o quantomeno hanno una regia migliore.  
"Hanno una strategia sulla ricerca decisa dall'alto più sostenuta e hanno una continuità maggiore della nostra, specie nell'ottenere i finanziamenti europei per la ricerca. Ora però le cose stanno per cambiare con gli 11 miliardi di euro destinati alla ricerca dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Punteremo su alcuni filoni principali guardando ai punti di forza del Paese". 

 
La meritocrazia è prevista nella riforma?
"La poca meritocrazia fa scappare i nostri migliori ricercatori. Sono sempre più convinta che sia soprattutto un problema culturale che riguarda l'intero Paese. Le cose stanno migliorando ma è un dato di fatto che non c'è regola che tenga: tante riforme e tante leggi si sono infrante su un'attitudine che è a volte molto lontana dall'idea di dover assumere i migliori. In secondo luogo, perfino i grandi atenei offrono stipendi che non sono competitivi e tanti vanno all'estero perché guadagnano di più. Il parziale riconoscimento del merito unito alla scarsa valorizzazione dei talenti porta a una miscela esplosiva anche dal punto di vista sociale. Forse dovremmo aggiungere un certo grado di immobilismo. Negli ultimi venti anni il mondo è cambiato radicalmente, mentre l'università ha iniziato a farlo solo di recente".  


Come mai?  
"Nelle modalità di insegnamento non c'è stata l'evoluzione che sarebbe stata necessaria. Vale per l'università e vale per la scuola, anche se poi le cose cambiano molto secondo gli atenei e gli istituti. La formazione degli insegnanti è mutata di continuo in base a tante riforme spesso mai completate con il risultato che abbiamo persone molto competenti che non hanno un lavoro e altre che sono state messe nel posto sbagliato".     


Era ciò che si aspettava di dover affrontare come ministro?  
"Mi aspettavo forse maggiore facilità nel riuscire a portare avanti cose di buon senso. È giusto confrontarsi con tutti, ma non posso non notare un malessere diffuso che a volte diventa un ostacolo e non solo per quanto riguarda l'università. È complicato. Fortuna che la squadra di governo oltre che di qualità è anche molto collaborativa. Non è un aspetto di poco conto".