Sui temi climatici "tante chiacchiere e poca sostanza": si può tradurre così l'accusa mossa dalla Banca centrale europea (Bce) agli istituti di credito dell'area dell'euro, secondo le ultime indiscrezioni riferite dal Financial Times. La Bce, infatti, stando alla stessa ricostruzione, avrebbe minacciato di stilare una lista dettagliata di nomi, dopo essersi resa conto che nessuno dei 109 istituti di credito monitorati, tra cui ovviamente anche quelli italiani, risulta all'altezza delle aspettative sulla trasparenza legata al rischio climatico, ma al contrario produce "tanto rumore di fondo (white noise) senza reale sostanza".
Le richieste della Bce e il rischio climatico
Per questo motivo, la Bce ha domandato alle banche vigilate azioni "più incisive", dopo avere constatato che nessuna di loro incontra le sue richieste in termini di trasparenza sul clima e che soltanto il 15% pubblica i dati delle emissioni nocive riferite ai gruppi finanziati. Sì, perché fornendo credito alle società che più inquinano, per esempio a quelle che operano nel settore dei combustibili fossili, le banche di fatto contribuiscono a ostacolare la transizione ecologica. Non solo. Sempre secondo quanto riferito da Ft, tre quarti degli istituti vigilati dalla Bce non avrebbero spiegato dettagliatamente come i fattori ambientali e climatici abbiano conseguenze concrete sul loro profilo di rischio, pur avendo dichiarato di essere esposte a quegli stessi rischi.
"C'è ben poco da giustificare in questa mancanza di progresso" ha dichiarato Frank Elderson, membro del comitato esecutivo della Bce e vicepresidente del consiglio di vigilanza, aggiungendo che un fallimento da parte degli istituti di credito nella trasparenza sull'esposizione ai rischi climatici può anche essere considerato una trasgressione della legge europea.
Gli "stress test" sull'ambiente
Più in generale, tali risultati poco incoraggianti circa l'approccio delle banche alla questione climatica arrivano in un momento particolarmente delicato. La scorsa estate, infatti, la presidente della Bce, Christine Lagarde, ha lanciato per gli istituti di credito europei gli "stress test" sul clima, partiti già nel primo semestre del 2022 con la pubblicazione dei risultati attesa nella seconda parte dell'anno. Tali esami, aveva puntualizzato una nota della Vigilanza europea di fine gennaio, non mirano "a promuovere o bocciare le banche, né hanno implicazioni dirette per i loro livelli patrimoniali". I test si pongono, però, l'obiettivo di "valutare il grado di preparazione delle nell'affrontare gli shock economici e finanziari derivanti dal rischio climatico".
Tecnicamente, l'esercizio si suddivide in tre moduli: un questionario, un'analisi comparativa "per valutare la sostenibilità dei modelli imprenditoriali e l'esposizione a imprese caratterizzate da un'elevata intensità di emissioni" inquinanti, e infine una prova di stress test di tipo bottom-up, che parte cioè dal singolo istituto simulando cosa accadrebbe in alcuni scenari ipotetici. In quello peggiore, che prevede una crescita dell'inquinamento sino al 2080 e nessuna transizione verso un'economia a emissioni nette nulle, l'assenza di costi legati a questo cambiamento "è più che controbilanciata dall'impatto avverso nel tempo di rischi fisici estremi sull'economia", si legge nella documentazione della Bce sugli stress test climatici. E tra questi rischi estremi vengono contemplati lunghi periodi di siccità e caldo, oltre che inondazioni.
Il rischio greenwashing
Proprio per giustificare gli esami delle banche sul clima, Lagarde aveva messo in guardia: "Dobbiamo avere fiducia ma al tempo stesso verificare, altrimenti apriamo la porta al rischio di un enorme fenomeno di greenwashing", vale a dire di una verniciatura di verde solo apparente che non risolve la sostanza dei problemi di un ambiente in rapido mutamento.
Il conflitto Ucraina-Russia
Nel frattempo, a cambiare lo scenario contribuisce anche la guerra tra Russia e Ucraina, che tra le altre cose ha condotto l'Europa sull'orlo di una crisi energetica. Così, se, da una parte, per certi versi sembra che si stiano accantonando le questioni climatiche per far fronte all'emergenza (si pensi all'ipotesi di riaprire le centrali a carbone), dall'altro lato, aumentano le spinte verso le fonti rinnovabili. E inoltre, alcuni progetti particolarmente inquinanti incontrano ostacoli. Si pensi, per esempio, al "congelamento", legato alle sanzioni occidentali verso Mosca, del finanziamento da 500 milioni da parte delle due italiane Intesa Sanpaolo e Cdp al progetto per il gas liquefatto del valore complessivo di oltre 21 miliardi di dollari "Arctic Lng 2", guidato dalla russa Novatek, e situato sulla penisola di Gydan, nell'Artico siberiano occidentale.