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Christine Lagarde, presidente della Bce. Daniel Roland/AFP via Getty Images
Christine Lagarde, presidente della Bce. Daniel Roland/AFP via Getty Images 

Primo report della Bce sul climate change: "Agire ora, o sarà un disastro"

Un report della Banca Centrale europea sui costi che l'Europa dovrà affrontare per rimediare ai danni climatici: investire, anche pesantemente, oggi in una economia a basse emissioni eviterà di pagare costi pesantissimi tra qualche anno

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Una nuova categoria di “rischio sistemico”, che sarà quindi oggetto di uno specifico stress test per le banche, fulcro per l’intera attività economica. È questo il senso di un rapporto appena reso pubblico dalla Bce, la banca centrale europea, frutto di una capillare analisi presso 1.600 istituti e ben 2,3 milioni di aziende in tutta l’area euro e rivolta alla verifica degli impatti economici dei ben noti “effetti collaterali” del cambiamento climatico in corso: alluvioni, uragani abnormi, siccità, incendi devastanti e via dicendo.

È la prima volta che la Bce fa del climate change uno dei suoi principali focus, e ora i risultati di questo studio verranno messi al servizio della vigilanza bancaria di Francoforte che preparerà gli stress test veri e propri da eseguire entro l’anno prossimo.

I risultati peraltro si possono già immaginare leggendo le 95 pagine del rapporto: perdite di fatturato (oltre che di vite umane) immense e instabilità finanziaria e sociale "sono i costi che stanno diventando progressivamente sempre più acuti dei processi in corso", scrive per sottolineare ancora una volta la necessità e l’urgenza di intervenire nelle sue 95 pagine il report (reperibile qui).

Dal punto di vista strettamente finanziario, scrive lo studio, la simmetria è palese: i disastri “naturali” (in realtà provocati dall’uomo) provocano distruzioni e quindi abbattimento di valore nelle attività delle aziende che a loro volta sono iscritte a bilancio delle banche, con il risultato di far saltare i rapporti patrimonio/impegni minacciando quindi seriamente la redditività degli istituti (oltre che ovviamente causando perdite abissali alle aziende interessate).

È la cosiddetta “erosione del collaterale”. La situazione è talmente compromessa, scrive la Bce, che i rischi si estendono ormai a tutte le attività industriali, agricole o artigianali collocate in qualche zona “climate sensitive”, con il risultato appunto di abbattimenti di valore degli asset e quindi della solvibilità di imprese e in un circuito perverso delle banche stesse.

Ecco quindi la necessità di una “tassonomia” aggiornata per gli stress test con un nuovo insieme di criteri specifici modellati sul fattore climatico. L’obiettivo è realizzare un database mondiale in grado di identificare subito i punti di crisi e di rischio, oltre che ovviamente di suggerirne i rimedi. Un’operazione di “mappatura” colossale, a livello globale, resa però necessaria dai ritardi, scrive la Bce, che si registrano nell’attuazione degli accordi di Parigi.

A questo punto è quasi naturale che il rapporto si concluda con una considerazione: siamo tutti d’accordo che la transizione ecologica mina alla base il conto economico di tante aziende basate su tecnologie ad alta emissione, e siamo anche pronti a determinate eccezioni e ragionevoli rinvii, però – è il punto su cui la Bce insiste di più - "dobbiamo tutti renderci conto che investimenti anche onerosi oggi evitano conseguenze molto peggiori domani, oltre sul lungo termine enormemente più costose".

Senza contare le conseguenze di cui si diceva in termini di instabilità finanziaria. "Nel caso in cui si scelga l’inazione – scrive il report – e quindi si effettuino sforzi troppo contenuti per mitigare le conseguenze del cambio di clima, i costi da catastrofi naturali saranno estremamente alti". Hot house world, la Bce chiama questo scenario pessimistico.

La Banca centrale giustifica anche il suo interessamento alla questione: "La transizione verso un’economia più sostenibile modifica l’outlook complessivo dell’economia globale".

La posta in gioco è esistenziale: "Nel caso di una transizione ordinata, graduale e progressiva ma senza soste, sicuramente i rischi di minori utili, maggiori oneri finanziari o addirittura di fallimento di alcune aziende saranno leggermente più alti per i prossimi quattro o cinque anni. Ma in caso di transizione disordinata e rallentata la redditività delle aziende scenderà nello stesso periodo di più del 20% entro il 2050 e i rischi di fallimento saliranno del 2%. Infine, se nessuna azione verrà intrapresa la redditività scenderà del 40% e la probabilità di fallimento del 6%".