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Il segretario di Stato Usa John Kerry (a sinistra) e il ministro degli Esteri cinese Wang Yi
Il segretario di Stato Usa John Kerry (a sinistra) e il ministro degli Esteri cinese Wang Yi 

La missione impossibile di John Kerry: convincere India e Cina a fare di più per il pianeta

L'inviato speciale del presidente Biden cerca di alzare la posta in palio al summit di Glasgow sul clima. È essenziale che Pechino e Nuova Delhi si rimbocchino le maniche per evitare che la catastrofe ambientale diventi irreversibile

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NEW YORK - Gli impegni presi finora dagli stati di tutto il mondo per fermare il riscaldamento globale, ammesso che vengano rispettati alla lettera, non bastano più a contenere l'aumento delle temperature sulla media di 1,5 °C, ritenuto indispensabile dagli esperti del settore per evitare che la catastrofe ambientale diventi irreversibile. E tanto meno bastano a salvare il pianeta Terra dai danni già in corso, come hanno dimostrato nelle ultime settimane le inondazioni in Europa, gli incendi dal Canada alla California, e le vittime fatte dall'uragano Ida a New York. Al punto che i più pessimisti iniziano a dire che la battaglia è persa, è inutile continuare a puntare sulla riduzione delle emissioni, e piuttosto bisognerebbe concentrare le risorse sull'adeguamento e la mitigazione degli inevitabili disastri in arrivo.

Perciò John Kerry, l'inviato speciale del presidente americano, Biden sta cercando disperatamente di alzare la posta in palio al vertice Cop26 di novembre a Glasgow. In particolare, punta a convincere Cina e India a fare di più. Finora però non è riuscito ad ottenere impegni concreti, anche perché il complessivo raffreddamento dei rapporti bilaterali tra Washington e Pechino sta complicando pure la sua missione, che invece lui sperava di usare come ponte per riaprire il dialogo. Se non strapperà qualche concessione concreta, però, la Cop26 diventerà l'ennesima fiera dei proclami inutili, o quanto meno insufficienti.


Secondo un recente studio del Rhodium Group, la Cina è ormai di gran lunga il principale inquinatore del mondo, con il 27% delle emissioni totali. Al secondo posto restano gli Usa con l'11%, al terzo l'India con il 6,6%, e al quarto i paesi dell'Unione Europea con il 6,4%. Questi numeri bastano a capire, per esempio, che se domani l'intera Ue bloccasse di colpo tutte le sue emissioni di gas, non basterebbe a rivolvere il problema. Gli occidentali hanno capito che devono dare il buon esempio, ma non è sufficiente.

Ammesso che Biden riesca ad invertire negli Usa la rotta dell'indifferenza indicata dal predecessore Trump, è essenziale che Pechino e Nuova Delhi facciano di più. Xi e Modi però ripetono l'abituale giustificazione dei paesi in via di sviluppo, che accusano quelli sviluppati di aver prima inquinato il mondo, e poi preteso che loro rinunciassero invece alla propria crescita. Così però il cane continua a mordersi la coda, fino a quando sulla Terra non ci saranno più cani o code da mordere.

La Cina si è impegnata a raggiungere il picco delle emissioni prodotte dal carbone entro il 2030, per poi arrivare net zero entro il 2060. Gli Usa invece chiedono che smetta subito di costruire nuove centrali a carbone all'interno dei suoi confini, e smetta anche di finanziarle all'estero, anticipando al 2050 il traguardo di zero emissioni. Negli ultimi mesi Kerry ha fatto diverse missioni nella Repubblica popolare, sperando anche di usare la collaborazione sul clima come punto di convergenza su cui riaprire il dialogo tra i due paesi. Nei giorni scorsi però il ministro degli Esteri Wang Yi lo ha gelato, avvertendo che la questione del riscaldamento globale non può essere separata dalle tensioni geopolitiche. "Gli Usa - ha detto Wang - sperano che la cooperazione climatica possa essere un'oasi nelle relazioni bilaterali, ma se questa oasi è circondata dal deserto, prima o poi diventerà anch'essa desertificata". La speranza non è ancora perduta, ma l'ottimismo non è il sentimento prevalente, dopo che Xi durante la recente telefonata con Biden ha ignorato la sua proposta di incontrarsi di persona a margine del G20 di Roma a fine ottobre.

Peggio ancora vanno le cose con l'India, che non ha ancora preso un impegno fermo su come e quando arrivare a zero emissioni. Nuova Delhi genera il 70% della sua energia elettrica dal carbone, e secondo la International Energy Agency da qui al 2050 si prepara ad aggiungere una capacità di produzione uguale a quella dell'intera Ue. Ha promesso di ricavare 450 gigawatt dalle fonti rinnovabili entro il 2030, ma ovviamente non basta.


Da aprile ad oggi Kerry ha fatto due viaggi in India, e l'ultimo si è concluso lunedì scorso senza grandi progressi: "Nessuno ha detto no all'obiettivo di zero emissioni, però nessuno ha detto sì". L'inviato di Biden ha sottolineato che sei grandi banche americane, Goldman Sachs, Bank of America, JP Morgan, Wells Fargo, Morgan Stanley e State Street Bank, hanno annunciato di voler investire oltre 4 trilioni di dollari nelle fonti rinnovabili. Molti di questi soldi finirebbero proprio a Nuova Delhi, oltre ai 500 milioni già promessi dalla US International Development Finance Corporation, a cui potrebbe aggiungersi un altro mezzo miliardo.


L'appuntamento decisivo sarà quello del 24 settembre, quando Modi visiterà Washington, dove vedrà Biden e Kerry. Se non ci saranno progressi con l'India, e se Xi nel frattempo non accetterà di aumentare i propri impegni, Glasgow rischierà di diventare un'altra occasione perduta.