La risposta è nel cielo. Alessandro Savazzi, 26 anni, milanese, l’ha capito frequentando il corso di meteorologia. Ha conseguito la laurea triennale in Ingegneria per l’ambiente e il territorio nella sua città; poi, invece di specializzarsi in gestione delle risorse naturali come aveva inizialmente pianificato, ha scelto di dedicarsi alle scienze atmosferiche.
“Mi sono innamorato della materia – ammette – ogni piccola novità che riguarda l’atmosfera ha ricadute significative sul pianeta. Sapere come le nuvole si formano, si spostano e muovono energia è fondamentale per decifrare il cambiamento climatico”.
La conoscenza di questi processi, infatti, aiuta a comprendere ciò che accadrà sulla Terra quando le temperature saranno aumentate ancora di più. “Gli scienziati del clima – spiega Alessandro – cercano di prevedere quali saranno, in media, le condizioni atmosferiche a lungo termine; è proprio l’orizzonte temporale a segnare la differenza rispetto allo scopo del meteo. Le nuvole, però, sono uno dei fattori più incerti che esistano e scombinano i calcoli. L’obiettivo è ridurre al minimo tale margine d’incertezza, visto che forse sarà impossibile eliminarlo del tutto. Sarebbe già un buon risultato tracciare un quadro generale, formulare un modello matematico da rappresentare con mezzi informatici”.
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Mentre alcuni meccanismi sono ormai chiari (come le conseguenze generate dalle emissioni di gas serra: queste ultime sono le principali responsabili del riscaldamento globale, il quale, a sua volta, provoca lo scioglimento dei ghiacci, le ondate di calore e altri eventi estremi a cui assistiamo sempre più spesso), sulle nubi il dibattito è aperto: c’è chi sostiene che raffreddino il pianeta e chi crede che abbiano l’effetto contrario.
Alessandro s’è appassionato al tema e ha deciso di approfondirlo durante la specializzazione presso l’Università tecnica di Delft, nei Paesi Bassi; qui, dallo scorso autunno, ha cominciato un dottorato di ricerca quadriennale sotto la guida della professoressa Louise Nuijens. “Sono interessato alle dinamiche che regolano la natura e tendo ad andare alla radice dei problemi. E il clima, appunto, influenza ogni aspetto della vita, in primis la disponibilità d’acqua e la produzione di cibo. Perciò ho intrapreso questa strada, per contribuire alla ricostruzione dell’armonia tra uomo e ambiente”.
E a Delft si è trovato nel posto giusto al momento giusto: “Nel 2020, nell’ambito del programma ‘Eurec4a’, il gruppo di lavoro della mia professoressa ha svolto una campagna di osservazioni alle Barbados. Per circa un mese si sono concentrati lì diversi strumenti di rilevazione, installati su imbarcazioni, boe, velivoli o droni, e si sono sfruttati sia il radar dell’aeroporto sia i satelliti per raccogliere dati. Il fine era sottoporre a verifica, in un contesto caratterizzato da condizioni abbastanza costanti, il modello sviluppato dal Centro europeo per le Previsioni meteorologiche a medio termine”.
Succede di frequente che proiezioni simili contengano errori o semplificazioni. E questa, pur essendo la più quotata al mondo, non fa eccezione: si è scoperto che stima in modo scorretto direzione e velocità del vento. Uno sbaglio che si ripete sistematicamente e si ripercuote pure sulle previsioni quotidiane.
“Non ho partecipato alla campagna – prosegue Alessandro – in quel periodo ero appena arrivato in ateneo. Ma ne ho beneficiato, perché la mia carriera si è avviata sulla base delle informazioni ottenute dai colleghi. Il progetto che mi è stato assegnato per il dottorato consiste nell’effettuare ulteriori misurazioni in Olanda, con un clima più variegato, e nell’individuare il processo fisico che il modello travisa. Bisogna risalire alla causa dell’errore per modificare l’intera equazione che riassume il modello stesso”.
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Perché è importante riuscirci? “Il vento trasporta energia e umidità in verticale e in orizzontale. Se si sbaglia a predire la sua intensità, si sbaglia anche a quantificare l’energia e l’umidità che diffonde nell’atmosfera. E siccome tali elementi incidono sulla formazione delle nuvole, si fraintenderà il comportamento di queste ultime. Identico discorso vale per la direzione: se la si calcola male, non si può stabilire né dove i fenomeni causati dalle nuvole saranno più forti né dove i cambiamenti climatici avranno il maggior impatto”.
Delineare gli scenari futuri, quindi, consente di agire in anticipo: “Se vogliamo invertire la rotta dobbiamo urgentemente abbandonare i combustibili fossili. La loro estrazione, la loro lavorazione e il loro consumo sono un’enorme sorgente di CO2 e gas equivalenti. Cioè i colpevoli numero uno dell’inquinamento dell’aria, del riscaldamento e delle alterazioni del clima. Occorre tornare alle concentrazioni dell’epoca preindustriale, sensibilizzando la popolazione sulla necessità di ricavare l’energia da fonti rinnovabili e di risparmiarla. Servono azioni efficaci dal punto di vista globale”.
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La Terra – come la descrive Alessandro – è in una situazione d’instabilità perché sta tentando di metabolizzare i danni arrecati dagli esseri umani; ma viene in continuazione sommersa da nuove emissioni e fatica ad assorbirle, non ne ha il tempo. Ipotizzando che da oggi si smetta di produrre anidride carbonica, nell’arco dei prossimi 50 anni le ripercussioni negative non si esaurirebbero comunque. Soltanto allora si raggiungerebbe un equilibrio calibrato su temperature più alte. Il timore, fondato sulle simulazioni disponibili, è che esso non sia favorevole per noi.
“Siamo a un bivio – riprende il ricercatore – o manteniamo i ritmi attuali o iniziamo a togliere in via artificiale dall’atmosfera più CO2 di quanta se ne immetta. Un traguardo che è stato messo nero su bianco nell’Accordo di Parigi. Per non scoraggiarci, ricordiamo che il pianeta potrebbe non diventare così inospitale, a patto che ci adattiamo e che impariamo a vivere con almeno 1 grado in più”.
Ecco perché gli studi sul clima sono complessi e fondamentali. Come Alessandro racconta nella serie podcast “Il mio futuro è green: le professioni verdi”, realizzata da Sofidel per la campagna “#LaNostraCartaMigliore”, gli scienziati che se ne occupano non sono molti: “Perciò è utile confrontarsi, condividere le esperienze; tra di noi non c’è competizione come in altri settori e c’è consapevolezza di dover offrire all’esterno un’immagine di serietà e credibilità. Del resto, le applicazioni delle nostre analisi in ambito pratico o industriale si espandono; penso, ad esempio, alla gestione dei parchi eolici”.
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Alessandro è sbarcato nei Paesi Bassi seguendo il desiderio di viaggiare, incontrare persone e perfezionare l’inglese. Emigrare, però, è talvolta un’opzione obbligata: “Quasi tutti i grandi istituti di ricerca sono all’estero. In Italia ci sono pochi poli d’eccellenza, come il Centro euro-mediterraneo sui Cambiamenti climatici, così i nostri esperti affollano in particolare quelli europei. È un motivo di vanto, certo, ma il Paese perde risorse preziose. E adesso rischia di essere penalizzato, visto che alcuni centri hanno delimitato le quote da riservare alle varie nazionalità”.