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Huai An, Cina (foto: Vcg/Vcg via Getty Images)
Huai An, Cina (foto: Vcg/Vcg via Getty Images) 

Asia, i padroni delle rinnovabili

Cina e India puntano tutto su eolico e solare per dire addio alla dipendenza dal carbone. Pechino annulla progetti di nuove fabbriche e smantella quelle esistenti. Delhi, stop dal prossimo anno

4 minuti di lettura

Cina e India stanno investendo in modo aggressivo nell’eolico e nel solare, sostituendo a buon ritmo l’elettricità generata dal carbone. Dal 2008 al 2018 l’utilizzo dell’energia rinnovabile, senza considerare quella idroelettrica, in Cina è cresciuta del 33%, secondo lo Statistical review of world energy della BP, mentre il consumo dell’energia a carbone è cresciuto appena dell’1,7%, molto al di sotto del tasso di crescita economica cinese. Nello stesso periodo, in India le rinnovabili sono cresciute del 17% e il consumo di carbone del 5,5 %. Secondo i dati della BP, entro il 2040 in Asia, dominata demograficamente dalle popolazioni indiane e cinesi, ci sarà il 43% della domanda di energie di tutto il mondo, con un aumento del 50%, mentre nei Paesi Oecd (le più forti economie nelle Americhe e in Europa) la richiesta rimarrà stazionaria. È chiaro che in questo contesto entrambi  i colossi asiatici puntano già da ora a terminare la loro dipendenza dal carbone: la Cina sta annullando progetti di nuove fabbriche al carbone e smantellando quelle esistenti, mentre l’India, al momento devastata dal Covid e scopertasi fragilissima sulle strutture sanitarie e sociali, sta prendendo in seria considerazione di smettere la costruzione di nuove centrali a carbone dopo il 2022.


Sia chiaro, le emissioni da carbone in Cina sono ancora le più alte al mondo. È anche per questo che Pechino teme la carbon tax dell’Unione europea per le importazioni prodotte con emissioni inquinanti. In realtà, secondo uno studio di Transition Zero, alla Cina converrebbe chiudere 600 delle sue centrali a carbone entro 10 anni per raggiungere zero emissioni entro il 2060 e anche per risparmiare. Sì, risparmiare, perché oggi le energie rinnovabili sono meno costose del carbone. Bisogna solo avere il coraggio di smantellare le vecchie strutture. Come spiega Lei Zheng, amministratore delegato dell’Envision Group, società cinese che esporta turbine eoliche nel mondo, il cambiamento è imminente: "Quando parlo con i ceo delle grandi società elettriche cinesi, gran parte ha già capito che la centrale a carbone sta per diventare un ferro vecchio".

Secondo la Vitol svizzera, la richiesta mondiale di petrolio raggiungerà il suo acme nel 2034, dopodiché inizierà la discesa. La Cina ha già 3,3 milioni di auto elettriche in circolazione, l’equivalente della somma delle EMV in Europa e Stati Uniti. E, dopotutto, in Cina si producono due terzi delle batterie al litio e ioni, necessarie anche per telefoni e laptop. Già nel 2017 la Cina copriva il 72% del mercato fotovoltaico globale, in confronto all’1% americano e al 2% europeo. E Pechino ha incrementato le quote per la costruzione di centrali di energia rinnovabile in molte delle sue province.

In risposta alla sfida sulle rinnovabili di Pechino, anche Delhi si sta mobilitando. In India il 38% dell’energia viene dalle tecnologie rinnovabili. L’obiettivo degli accordi di Parigi è di arrivare al 40% entro il 2030. Ma il nuovo traguardo indiano è arrivare al 57% entro il 2027. Ci stanno investendo in tanti, nelle rinnovabili indiane, compreso Mark Zuckerberg: Facebook ha firmato un accordo per acquistare energia eolica raccolta nello Stato del Karnataka dalla CleanMax di Mumbai.


Ma il primo ministro Narendra Modi si trova in una situazione contraddittoria. Da un lato, quella di sviluppare energia pulita e verde, allo scopo di ridurre la dipendenza dal carburante fossile. Dall’altro lato, c’è l’ambizione autarchica verso una totale indipendenza, che punta a una rivoluzione delle energie (soprattutto quella solare).

Dopo i violenti scontri con morti e feriti tra truppe cinesi e indiane lungo la frontiera dell’Himalaya di questi ultimi due anni, in India si è verificata una spinta verso il boicottaggio dei prodotti cinesi, e in generale una spinta verso l’uncoupling dalla dipendenza cinese.

Le prime mosse per l’India sono state quelle di imporre una tassa d’importazione del 15% sui componenti dei pannelli solari dal luglio 2020 al luglio 2021. La seconda ondata di misure è stata quella di sanzioni doganali che a partire da aprile 2022 tasseranno i moduli solari del 40% e le cellule solari del 25 per cento. Il tutto per disincentivare le importazioni (prevalentemente dalla Cina) e fornire maggiori garanzie alle piccole e medie imprese del settore solare, aumentando le tasse di importazione anche per gli invertitori solari dal 5 al 20%. Inoltre, il governo indiano ha aumentato gli incentivi per promuovere la produzione su territorio nazionale di aziende indiane o anche straniere nel mercato del solare.

A parte i problemi geopolitici con la Cina, l’India si trova di fronte alla grande opportunità di diventare leader nelle rinnovabili. Secondo le previsioni dell’Agenzia internazionale per l’energia, le emissioni inquinanti  non verranno da strutture già esistenti ma da quelle ancora da costruire: trasporti, industrie e palazzi. Questa può essere una enorme opportunità per creare sistemi più puliti, come già stanno facendo in Ladakh, nel Sikkim, in Kerala e a Chennai e Bangalore.

Ma la domanda che consegue, per la Cina come per l’India, è sempre: quale sarà il costo per la crescita economica? Studi dimostrano che con meno emissioni si avrebbe non solo una popolazione più sana, ma anche un’economia più solida. Appunto grazie ai costi sempre più contenuti delle rinnovabili in rapporto al carbone.

Uno dei primi risultati di un’ulteriore accelerata verso le rinnovabili è anche quello di conservare più acqua, risorsa più che mai importante in India. Difatti, le attuali centrali elettriche indiane consumano troppa acqua per i sistemi di raffreddamento. Secondo i dati del World Resources Institute dell’India, la svolta verso le rinnovabili potrebbe far diminuire il consumo di acqua da 2,5 miliardi di metri cubi l’anno a 1 miliardo di metri cubi entro il 2050. Ovviamente le riduzioni di anidride carbonica ridurrebbero anche l’inquinamento che in India, secondo uno studio della rivista Lancet, nel 2019 ha causato 1 milione e 700 mila morti, il 18% dei morti totali.

Quale l’impatto sull’occupazione? Secondo i dati del World Resources Institute, un piano di investimenti intensivi sul clima potrebbe generare 24 milioni di posti di lavoro in 15 anni. Questo se si punta, ad esempio, sulla produzione di auto elettriche, sull’elettricità più pulita e sull’elettrolisi a idrogeno.

“Di quali tecnologie avremo bisogno e a quale costo?” si chiede Ulka Kelkar, direttrice del programma climatico del World Resources Institute indiano, “Secondo il modello economico applicato nel nostro studio, l’impatto maggiore arriverà da un incremento dell’elettrificazione e dall’utilizzo dell’idrogeno come carburante nelle industrie del cemento, ferro, acciaio e chimica”.

Il risultato immediato sarebbe una limitazione della pericolosa dipendenza dal petrolio, ma anche da un calo delle entrate fiscali legate all’utilizzo di questo carburante. Questo potrebbe essere recuperato con una “tassa sul carbone” che incentiverebbe a ridurre ulteriormente le emissioni. Bisogna considerare che entro il 2030 l’India diventerà la nazione con più abitanti al mondo, un miliardo e mezzo, superando quindi la Cina, che si prevede arriverà a 1 miliardo e 460 milioni. Più popolazione significa anche maggiore richiesta energetica.

Una squadra di esperti del settore elettrico dell’Università di Santa Barbara è convinta che l’India dovrebbe velocizzare gli sforzi per le energie rinnovabili anche per la convenienza economica. Dopo aver analizzato l’utilizzo elettrico in tutta l’India, il gruppo di esperti ha dimostrato come il costo dell’energia eolica e solare, e anche quello di stoccaggio delle batterie, sta diminuendo così velocemente che oggi è più conveniente adottare le tecnologie verdi invece di quelle convenzionali più inquinanti, a prescindere dalle motivazioni di tutela dell’ambiente. “Più capacità di energia rinnovabile si installano,” ha spiegato Deshmukh, “meno spesso ci si dovrà appoggiare alle centrali al carbone.” E più sano sarà l’intero pianeta.