NEW YORK - Devastare i mari per mantenere la Terra più pulita. Potrebbe essere questa la conseguenza della decisione che l’Isa, autorità internazionale dei fondali marini, l'organismo intergovernativo con sede a Kingston, Giamaica, prenderà a luglio. L’istituto è nato nel 1994 ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, per garantire che i minerali situati nelle acque internazionali siano sfruttati solo a beneficio dell'umanità. Per coordinare e controllare tutte le attività connesse all’estrazione dei minerali presenti in fondo al mare l'Isa si appresta ad approvare un protocollo per regolamentare gli scavi sottomarini di materie prime necessarie ad alimentare le batterie di telefonini e veicoli elettrici. Un passo in avanti verso un mondo più pulito? Gli ambientalisti dicono di no. La corsa alle estrazioni marine, sostengono, metterà in pericolo ecosistemi già fragili. E denunciano l’Istituto accusandolo di essersi ormai piegato agli interessi delle lobby minerarie.
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Il fatto è che nella parte di Oceano Pacifico chiamata Clarion Clipperton, una distesa fra Hawaii e Messico, a circa tre chilometri di profondità ci sono immense riserve di cobalto e nichel, molto più ricche di quelle di Congo e Indonesia, i due Paesi che pure hanno le miniere più ambite dalle multinazionali. Con quei metalli, infatti, si costruiscono le batterie agli ioni di litio. Altri studi si stanno concentrando sui fondali dell’Oceania. Di sicuro, le riserve a 20mila leghe e passa sotto i mari sono talmente ricche da poter potenzialmente alimentare 280 milioni di auto elettriche.
Il business fa gola a molti: e numerose società ci stanno già investendo, dall’americana Lockheed Martin, alla cinese China Minmetals, fino al gruppo belga Deme: che il 20 Aprile scorso ha usato per la prima volta un robot-scavatore per portare in superfice i preziosi metalli. D’altronde, si tratta di una nuova frontiera: gli ultimi tentativi in tal senso, condotti da Deep Sea Ventures – un consorzio internazionale con legami pure con la Cia – si erano infatti arenati negli anni 70.

Ma gli esperti sono scettici. Lo dice chiaro Lisa Levin della Scripps Institution of Oceanography di San Diego parlando al Seattle Times: «L’industria mineraria sostiene che se vogliamo energia rinnovabile e più batterie per auto elettriche, dobbiamo scavare nelle profondità marine. Ma la dicotomia è falsa». Il timore è che i detriti sollevati dalle estrazione nei fondali modifichino la composizione chimica delle acque, mettendo a rischio la salute delle creature marine (e potenzialmente anche quella dell’uomo). Preoccupazioni così sensate da aver già convinto alcune aziende come BMW, Google di Alphabet e Samsung ad impegnarsi a non acquistare metalli estratti dagli oceani: almeno fino a quando le ricerche non dimostreranno che gli allarmi non sono poi così gravi. Intanto il World Wildlife Fund già chiede una moratoria.

E Greenpeace minaccia azioni di sabotaggio per interrompere eventuali attività minerarie in acque profonde, ricordando come gli ecosistemi oceanici siano già in pericolo per colpa dell’acidificazione delle acque e l'inquinamento da plastica. Due fenomeni che già stanno provocando l'estinzione dei coralli.

L’Isa è chiamata a stabilire regole che garantiscano l’equilibrio fra scavi e salvaguardia marina con monitoraggi indipendenti delle attività e obbligo di rendicontazione annuale. Ma, secondo gli ambientalisti, obiettivo principale di quell’ente è diventato rendere possibile le estrazioni piuttosto che regolarle. La corsa a cobalto e nichel sottomarini, insomma, sta per cominciare.