La scorsa settimana, proprio all'ultimo secondo, appena prima che scadesse il termine per l'impugnazione, il Consiglio dei Ministri ha proposto ricorso alla Corte Costituzionale sulla legittimità del Piano casa, approvato dalla giunta regionale della Sardegna il 14 gennaio scorso. Un intervento arrivato giusto in "zona Cesarini", che potrebbe rivelarsi provvidenziale per impedire un grave misfatto ambientale o, almeno, per limitarne gli effetti e i danni. Il piano in questione, infatti, è destinato ad agevolare "la massiccia trasformazione edificatoria del territorio, anche in ambiti di pregio, determinando un grave abbassamento del livello di tutela del paesaggio" (così si legge nelle motivazioni del ricorso). In altre parole, una normativa che, a detta degli ordini professionali competenti, costituisce una insidiosissima minaccia per il già precario equilibrio ambientale, idrogeologico e urbanistico dell'isola.
Ma facciamo un passo indietro. Nel novembre del 2013, ad Arzachena, sulla costa nord-orientale della Sardegna, un'onda di tre metri invase il seminterrato dove viveva una famiglia di italobrasiliani e non lasciò loro scampo. L'allora Capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, dichiarò: "Considero criminale che si consenta l'abitabilità dei seminterrati". Sono passati otto anni e oggi quello di conferire abitabilità ai seminterrati è uno degli obiettivi del Piano casa in questione. Sembrava inimmaginabile. Anche perché solitamente leggi e provvedimenti che enfatizzano la lettera R - la maiuscola di propositi virtuosi come Riqualificazione e Riciclo - in un'epoca che vorrebbe immaginare un futuro sostenibile, si propongono come buoni, almeno in apparenza.
Anche il Piano casa approvato in Sardegna sembrerebbe a posto, offrendo già nel titolo le sue brave R di Riuso e Recupero: ma buono non è affatto. È un provvedimento che pretende di smantellare il sistema di tutela di coste e territorio, promosso quindici anni fa dal Piano paesaggistico regionale dell'allora presidente della Sardegna Renato Soru. Precisamente, quel piano che oggi, nel corso di tutta la discussione del Consiglio regionale, è stato oggetto di una totale rimozione. E ciò sotto la pressione di un'intera batteria di deroghe, eccezioni e omissioni, destinate a far ritornare la Sardegna alle logiche e alle politiche predatorie proprie del secolo scorso, quando dominavano piani paesaggistici che mettevano a sacco il territorio. E ne facevano oggetto di scambio politico-economico. E strumento efficace di acquisizione del consenso elettorale. Quei progetti, infine, vennero dichiarati dal Consiglio di Stato, nel 1998, non tutelativi dell'interesse generale.
In questo quadro, gli effetti del nuovo Piano casa sono agevolmente prevedibili. Milioni di metri cubi di ulteriore edificazione potrebbero distribuirsi per l'intera isola in tutte le forme e le progettazioni possibili, comprese le più fantasiose. Come la cessione dei cosiddetti "crediti" che consentono gli ampliamenti da un privato che ne avrebbe diritto a un altro che ne è privo: una sorta di compravendita di indulgenze volumetriche. Poi, nelle città, generosi regali di cubature; e, nelle campagne, la possibilità di edificare su lotti minimi anche per chi non è coltivatore; e, infine, lungo le coste, a breve distanza dalla battigia, volumi aggiuntivi come mai in passato, sia a beneficio delle seconde case, sia per gli alberghi che potranno ingrandirsi fino al 50 per cento. Tutto ciò perché ha prevalso, lungo gli articoli della legge, una singolare disposizione. Non è quella, come ci si aspetterebbe da un piano casa, di dare una abitazione dignitosa a chi non ce l'ha, bensì una vera e propria ossessione volumetrica. Una proterva e - verrebbe da dire - strafottente noncuranza per quella micidiale patologia del nostro paese che è il consumo del suolo. Una occhiuta e acribiosa caccia a tutti gli spazi disponibili, in città e in campagna, per ampliare ogni copertura: fino all'improntitudine di premiare gli abusi edilizi, al fine di conferire nuove cubature. Insomma, tutto quanto appaia libero, aperto e scoperto è preso di mira: che si tratti di una villa da ampliare appena oltre i trecento metri dal mare o di un ettaro, un solo ettaro nella campagna, da occupare con fabbricati, ruderi trasformati in chalet e ovili che diventano bed&breakfast. Un disastroso Piano, destinato a premiare piccole brame edilizie e grandi appetiti immobiliari. Con gli hotel che potrebbero essere collocati non nel borgo vicino, ma in bocca ai luoghi d'attrazione, in primissima fila, come simulacri del turismo che fu.
Mentre si preparava tutto ciò, il Consiglio regionale - oltre al danno, la più autolesionistica delle beffe - candidava, con enfasi compiaciuta, il paesaggio culturale della Sardegna a diventare patrimonio dell'Unesco. Per ora, il temuto scempio ambientale e civile è, se non altro, sospeso e messo sotto osservazione. Chiunque abbia a cuore la tutela dell'ambiente deve augurarsi che la Corte costituzionale intervenga in via cautelare per bloccare le conseguenze del Piano. Anche perché il suo più tetragono paladino, l'assessore regionale all'Urbanistica Quirico Sanna, ha reagito subito a muso duro, affermando che "la legge regionale è sempre in vigore e i suoi effetti sono legittimi fino a sentenza". Come a dire: fatevi sotto, uffici comunali, professionisti, imprese e cittadini. Anche se verrà a crearsi un mostruoso ingorgo tecnico-amministrativo, il boccone da addentare è ancora qui.