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La Cina dal 1° gennaio vieta l'importazione di rifiuti. Ma adesso dove finiranno?

La Cina dal 1° gennaio vieta l'importazione di rifiuti. Ma adesso dove finiranno?
Finora il Paese gestiva quasi la metà dei rifiuti solidi globali provenienti da tutto il mondo. Ora deve occuparsi delle sue oltre 200mila tonnellate di rifiuti. Timori per nuovi mercati, non sempre regolamentati, nel sud est asiatico e in Turchia
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Fra un paio di settimane finirà un'era, quella della Cina "pattumiera" del mondo, e inizierà ufficialmente un nuovo e complicato futuro per i rifiuti solidi di tutto il Pianeta. Dal primo gennaio 2021 la Cina vieterà infatti tutte le importazioni di rifiuti solidi da altri Paesi, sarà vietato anche lo scarico, il deposito e lo smaltimento in territorio cinese di rifiuti esteri. Un cambiamento epocale per una nazione che dagli anni Ottanta si occupa di smaltire e riciclare gli scarti del globo. Da ormai tre anni, le politiche "green" cinesi, hanno iniziato un percorso chiaro, prima con il divieto di importazione di 24 tipi di rifiuti solidi, tra cui carta non differenziata e tessuti, e poi con plastica e altri materiali. Fino al 2017 la Cina aveva lavorato quasi la metà dei prodotti riciclati di tutto il mondo, circa 45 milioni di tonnellate all'anno tra metallo, plastica e carta. Poi queste cifre sono iniziate a scendere vertiginosamente: 22,63 milioni di tonnellate nel 2018, 13,48 milioni nel 2019 e quest'anno, fino a novembre, appena 7,18 milioni, con un calo anno del 41%. 

Dal prossimo anno scatterà il divieto totale, che potrà essere per i vari paesi del mondo un'opportunità per iniziare a ripensare come ridurre drasticamente certe produzioni e scarti di materiali, ma che potrebbe anche diventare un boomerang per la gestione dei rifiuti globale. Diversi paesi asiatici infatti - ha sottolineato un recente report di Greenpeace - dalla Malesia al Vietnam alla Thailandia sino all'Indonesia, hanno iniziato ad occuparsi dei rifiuti esteri, molti dei quali provenienti dall'Europa, con sistemi di smaltimento non sempre cristallini. 
E questo è un problema: per esempio nella battaglia legata alla gestione della plastica, materiale di cui appena il 9% viene completamente riciclato e recuperato al mondo, il fatto che tonnellate di nuovi rifiuti plastici da Europa a Stati Uniti possano finire nei Paesi del Sud est asiatico preoccupa per la salute del Pianeta, avverte Greenpeace. Proprio questi paesi, tra l'altro, ospitano la maggior parte dei 10 fiumi più inquinati e più dannosi per il trasporto della plastica fino al mare e ai suoi fragili ecosistemi. 
 
Anche l'Italia, sostiene un report di Greenpeace, non è esente da questi meccanismi, dato che siamo all'undicesimo posto tra i principali esportatori di rifiuti plastici al mondo. Nel 2018 abbiamo spedito all'estero 197mila tonnellate, per un giro di affari di 58,9 milioni di euro e lo scorso anno abbiamo esportato per esempio almeno 1300 tonnellate di plastica proprio in Malesia.

Nella Cina fra i paesi più impattanti al mondo a livello di emissioni climalteranti e che oggi promette un forte impegno a favore dell'ambiente, cresce dunque la consapevolezza della questione ecologica, tanto che nonostante molte economie locali siano basate proprio sull'import dei rifiuti, il nuovo divieto viene salutato quasi ovunque come positivo per il futuro green del Paese, una "vittoria" come  l'ha definita Qiu Qiwen, responsabile del dipartimento dei rifiuti solidi e chimici del Ministero dell'Ecologia e dell'Ambiente (MEE). 
 
Per le associazioni ambientalisti cinesi, come Greenpeace Asia, è "un'opportunità per tutti i Paesi per ridurre la produzione di rifiuti. Questo veto aumenta la pressione sui paesi esportatori di rifiuti affinché riflettano su come produrne meno, che è la vera soluzione alla crisi che stiamo affrontando".

A preoccupare però resta il fatto legato a chi sarà ora, con l'entrata in vigore del divieto totale, ad occuparsi delle enormi quantità di rifiuti plastici, di metallo e di carta, provenienti da tutto il mondo. Rapporti degli ambientalisti indicavano che già dopo i primi blocchi cinesi "la maggior parte della plastica è andata a paesi e regioni meno regolamentati su queste materie e nel sud-est asiatico che, in particolare, non ha restrizioni adeguate per impedire importazioni eccessive, o capacità reali di trattare tutta quella spazzatura". 

Si stima addirittura che negli ultimi decenni la Cina sia occupata di quasi il 95% della plastica usata dell'Unione Europea e il 70% di quella degli Stati Uniti: è dunque ovvio che oggi, nonostante la produzione globale di scarti di plastica sia in calo, buona parte di questo materiale debba trovare nuovi mercati per l'export. 
 
Tonnellate di plastica sono dirette ora sia nel sud est asiatico sia in Medio Oriente e Turchia, ma non sempre legalmente. A fine novembre, proprio in Italia, nel porto di Cagliari, sono stati posti sotto sequestro due container carichi di rifiuti plastici: venivano spediti in Turchia come materiale ex novo per l'industria della plastica, ma in realtà si trattava di rifiuti plastici provenienti da operazioni di trattamento. Secondo i carabinieri del Noe dopo il primo blocco cinese è in atto proprio una  intensificazione di queste esportazioni di rifiuti plastici dall'Italia verso Stati dell'Europa orientale e dell'Asia.

Un problema, quello della gestione dei rifiuti esteri, che per la Cina dal 1° gennaio in poi non sarà più affar suo. Nel paese è infatti cresciuta in maniera esponenziale la produzione di scarti interni e ora la Cina si occuperà esclusivamente dei suoi rifiuti solidi: si parla di circa 215 milioni di tonnellate l'anno, che poi finiscono tra inceneritori e discariche. Per China Business News solo tra il 20 e il 30% dei rifiuti di plastica cinesi vengono poi realmente riciclati, ma per ovviare a queste carenze già dal 2019 la Cina ha concentrato nuove risorse economiche, oltre 15 miliardi di euro, per una gestione più efficace dei propri rifiuti. Undici città e cinque aree metropolitane sono state selezionate per avviare programmi di rifiuti zero, di riciclaggio e riduzione degli scarti. 
 
Politiche che si affiancano, oltre alle promesse sulle emissioni zero entro il 2060, a iniziative legate per esempio a sacchetti non biodegradabili vietati da gennaio nelle grandi città, oppure vari veti per materiali non riciclabili. I cinesi hanno dunque deciso di concludere un'era per avviarne un'altra, più green e rispettosa dell'ambiente dicono, passando ora la palla agli altri Paesi, chiamati a una minore riduzione globale di rifiuti.