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Carlo Petrini e gli occhi nuovi delle imprese

Il fondatore di Slow Food: i consumatori sono sempre più sensibili. E l'ecologia è la lente con cui dobbiamo osservare il mondo. Non c'è solo la produttività. Le aziende devono essere capaci di guardare alla salute e alla felicità dei lavoratori, con un approccio che sappia badare finalmente alla sostenibilità
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Quella a cui stiamo assistendo oggi rischia di essere la sesta estinzione di massa. È quello che sostengono alcuni ricercatori dell'Università di Exeter: la velocità con la quale stiamo perdendo biodiversità potrebbe infatti portare all'estinzione di una specie vivente su dieci entro la fine di questo secolo. Qualcosa dalla portata talmente enorme che la maggior parte di noi non riesce a elaborare (anche se il nostro ruolo nei comportamenti quotidiani è fondamentale: dalla scelta del cibo, alla raccolta differenziata). A questo si aggiunga lo sconcertante immobilismo della classe imprenditoriale e politica su queste tematiche: se continuiamo di questo passo, potremo ritenerci l'unica specie nella storia a essere responsabile della sua stessa estinzione. La deforestazione, la cementificazione incontrollata, lo spreco, l'agricoltura industriale e gli allevamenti intensivi, l'inquinamento e più in generale il sistema bulimico di consumi che abbiamo creato, sono causa principale della crisi ambientale (e sociale) che stiamo vivendo.

Quello che ancora non è chiaro, però, è che a essere a rischio non è la Terra in quanto tale, ma la vita del genere umano sulla Terra. Per questo motivo trattare la questione ecologica come un comparto a sé stante è un errore di dimensioni bibliche: l'ecologia dovrebbe essere essenza della politica e del dibattito pubblico odierno. Nel momento in cui è la sopravvivenza della specie umana a essere messa a rischio, non ci si può più permettere di fare questi errori. Ed è proprio per questo motivo che parlare di semplice ambientalismo non è più sufficiente: si deve parlare di ambiente e società, due blocchi connessi le cui sfide vanno a braccetto. Un binomio inscindibile, volenti o nolenti: il surriscaldamento del pianeta e tutte le sue conseguenze, infatti, non sono problemi di natura puramente ambientale. Il cambiamento climatico sconquassa gli ecosistemi, certo, ma al contempo allarga la forbice tra ricchi e poveri, aumenta le diseguaglianze sociali, alimenta la povertà e la fame, danneggia l'economia e la convivenza pacifica. Tutto è correlato, e mai come adesso prendersi cura dell'ambiente significa lottare per la giustizia sociale: le due cose vanno di pari passo.

D'altro canto, lo scenario italiano dei prossimi 80 anni relativo ai cambiamenti climatici - presentato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici qualche settimana fa - parla chiaro: se continuassimo così, la temperatura media per l'Italia crescerebbe di 5 gradi, avrebbe un costo economico di 8 punti percentuali di Pil pro capite e costi sociali elevatissimi. Gli incendi, la peggiorata qualità dell'aria, le inondazioni e le ondate di calore, colpirebbero soprattutto le fasce più deboli che vivono in contesti con infrastrutture inadeguate e scarsità di servizi. L'ennesima prova del legame indissolubile che c'è tra sostenibilità ambientale e benessere sociale.

Insomma, la casa comune ha bisogno di una ristrutturazione profonda. Non è sufficiente dipingere le pareti. Eppure si sta implementando una pubblicità di facciata che non corrisponde ad azioni concrete verso il cambiamento. L'opportunità del Recovery Plan non può essere affrontata con un insieme di parole vuote prive di sostanza. Auspichiamo che non parta, quindi, un meccanismo di green washing generalizzato, dove a comandare sia sempre e comunque l'ottimizzazione della produttività a ogni costo travestita con abiti nuovi, certamente più green ma solo all'apparenza sostenibili. Sarebbe una sconfitta per tutti.

All'interno delle aziende, allora, quali potrebbero essere gli elementi distintivi di questa transizione? In primo luogo c'è sicuramente un aspetto educativo che è necessario implementare: la sensibilità tanto è maggiore quanto più è profonda da un lato la consapevolezza del problema, dall'altro la conoscenza degli strumenti giusti per risolverlo. Entriamo in una fase in cui nulla sarà più come prima ed è bene studiare per capire come continuare a fare impresa avendo però occhi nuovi. Rivolti alla tutela del suolo, alla salubrità dell'aria e a un utilizzo accurato dell'acqua; ad una gestione saggia, creativa e organizzata dei rifiuti, lavorando per far sì che si possano riconvertire o riciclare laddove possibile, o smaltire nel modo più corretto. Occhi capaci di guardare alla salute e alla felicità dei propri lavoratori, garantendo salari dignitosi e sicurezza sul lavoro. Un approccio aziendale che sia quindi capace di badare alla sostenibilità nel suo senso più completo e a soddisfare anche le esigenze di un consumatore che per fortuna è sempre più attento e sensibile.

Per questi motivi l'ecologia ha bisogno di contaminare ogni comparto della vita umana, ed è la lente attraverso cui guardare tutto, dal modo di fare impresa a quello di intendere la politica. Solo attraverso queste nuove lenti possiamo sperare di vederci finalmente bene, di progettare un nuovo mondo e un nuovo modo di abitarlo e custodirlo.