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Pesca d'altura, l'Armada cinese che svuota i mari

Pesca d'altura, l'Armada cinese che svuota i mari

Le barche del Dragone si spingono oltre le loro acque territoriali. Fino a lambire l'area protetta delle Galapagos. Servono regole per i pescatori. Il governo cinese ha messo nel mirino il problema ma non è ancora chiaro quanto decisi saranno i suoi interventi 

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PECHINO - Alla fine di luglio, sui radar della Marina dell'Ecuador, è comparsa un'enorme macchia di quadratini luminosi. Circa 300 navi, tutte o quasi con bandiera cinese, schierate a mezzaluna circa 200 miglia a Sud delle Isole Galapagos. Avevano gettato l'ancora appena oltre il limite dalle acque territoriali del Paese, dove è legale farlo, ma pronte a catturare ogni specie che si fosse avventurata fuori dall'area protetta dell'arcipelago, il santuario naturale che ha suggerito a Darwin la teoria dell'evoluzione.

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Non è una novità: ormai da anni le barche del Dragone, la flotta per la pesca d'altura più grande al mondo, battono quei mari così distanti dalle coste nazionali, ma così pieni di pesci e molluschi per cui i cinesi vanno ghiotti, a cominciare dai calamari giganti. E non è una sorpresa neppure quanto ha denunciato qualche giorno dopo il comandante della Marina ecuadoregna Darwin (nomen omen) Jarrin, cioè che molte delle navi durante la battuta hanno spento i localizzatori, per evitare di farsi tracciare: secondo diverse analisi la Cina è il principale responsabile al mondo della cosiddetta "IUU", sigla inglese che denota la pesca illegale, non registrata o non regolata, principali minacce alla biodiversità oceanica. In questa storia che si ripete da qualche estate però una novità c'è. Anziché replicare all'Ecuador, come spesso fa quando viene accusata, la diplomazia di Pechino ha incassato in silenzio. Anzi, tramite la sua ambasciata locale ha ribadito la nuova politica di "tolleranza zero" nel contrasto alla pesca illegale.

Formule senza valore, come denunciano scettiche alcune Ong ambientaliste, oppure il segnale di un'inversione di rotta da parte della Cina? La domanda è decisiva per il futuro della fauna marina, un terzo della quale oggi viene pescato a livelli non sostenibili, ma non ha ancora una risposta chiara. Di certo la flotta del Dragone, che secondo alcune stime conterebbe oltre 10mila vascelli d'altura e che da sola vale il 15% del pescato globale, è la prima (anche se non l'unica) responsabile dell'iper sfruttamento degli oceani, con una fedina penale piena di regole non rispettate e totale assenza di trasparenza. La flottiglia delle Galapagos riassume bene queste malefatte: oltre ai localizzatori spenti c'è la caccia a specie protette come lo squalo martello, considerato in Cina un'esotica prelibatezza, la pratica di riversare il pesce su delle "navi madre" in modo da oscurarne la provenienza e aggirare i controlli nei porti, i vascelli da pesca non registrati mascherati da imbarcazioni logistiche di supporto. Pratiche al limite della legalità o del tutto illegali, che sfruttano le zone grigie presenti nella giurisdizione del mare aperto o le difficoltà dei Paesi rivieraschi nel controllare infinite distese d'acqua.

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Allo stesso tempo però negli ultimi mesi il governo cinese ha varato una serie di norme senza precedenti per tentare di mettere ordine al settore, alcune già in vigore e altre che lo saranno entro la fine dell'anno. Il cosiddetto Regolamento per la gestione della pesca d'altura, per esempio, parla per la prima volta di un utilizzo "sostenibile" delle risorse ittiche e istituisce responsabilità chiare, controlli più stringenti e punizioni più severe contro la pesca "IUU", comprese le revoche temporanee delle licenze per comandanti e navi, che finora se la cavavano con una multarella. Secondo alcuni osservatori potrebbe essere un passo verso l'adesione della Cina all'intesa internazionale del 2016 sui porti, che vincola i firmatari a rifiutare il pescato non tracciabile. Un altro regolamento che riguarda nello specifico il calamaro ha introdotto invece due moratorie di tre mesi sulla pesca, in modo da tutelarne la riproduzione, una da settembre a novembre proprio nelle acque del Pacifico attorno alle Galapagos, l'altra a primavera nell'Atlantico, al largo dell'Argentina.  

Queste azioni del governo cinese non vanno liquidate come retorica, per almeno due ragioni. La prima è la crescente attenzione dei cittadini e del regime per le tematiche ambientali, riassunta dall'impegno di Xi Jinping per "montagne lussureggianti, cieli azzurri e acque pulite". L'altra è la volontà della Cina di presentarsi come un attore responsabile a livello globale: nel 2016 e poi nel 2019 i suoi pescherecci, beccati dall'Argentina all'interno delle acque territoriali, hanno provocato incidenti imbarazzanti, facendosi sparare addosso e perfino affondare dalla Guardia costiera di Buenos Aires. Pechino non può corteggiare il Sudamerica con la sua Via della seta e poi lasciare che le barche con bandiera rossa ne saccheggino le acque.

D'altra parte è comprensibile anche lo scetticismo di alcuni ambientalisti, che fanno notare come scrivere belle regole non serva a nulla, se poi non vengono fatte rispettare. Ci sono diversi motivi per cui Pechino potrebbe continuare a chiudere uno, o due occhi sulle scorribande dei suoi pescatori. Motivi geopolitici: le loro barche, opportunamente dotate di sistemi Gps avanzati e puntellate con soldati armati a bordo, servono ad affermare il controllo sulle acque contese del Mar Cinese Meridionale come una "Marina" non ufficiale, inseguendo e bullizzando i pescherecci delle nazioni vicine. E motivi di crescita economica, imperativo che per Xi vale almeno quanto la sostenibilità: soffocare di regole un settore che occupa milioni di cinesi sarebbe un problema, come testimoniano i sussidi miliardari sul carburante che il governo concede ai pescatori. Proprio come per le centrali a carbone, che la Cina aveva promesso di eliminare, salvo costruire nei territori dei Paesi partner, lontano dagli occhi dei suoi cittadini, anche per la pesca d'altura un modo per mascherare le malefatte si può trovare: recenti analisi hanno mostrato che il 90% dei pescherecci del Ghana è partecipato o controllato da capitali cinesi. Pescatori del Dragone sotto mentite bandiere.

Nel clima di scontro a tutto campo con la Cina, il segretario di Stato americano Mike Pompeo non ha perso occasione di aggiungere una malefatta al conto del rivale, definendo le azioni della flotta del Dragone al largo delle Galapagos "molto preoccupanti". La realtà è più sfumata: Pechino ha messo nel mirino i problemi della pesca d'altura, ma non è ancora chiaro quanto decisi saranno i suoi interventi. Come in tutti i temi ambientali, il contributo della Cina è semplicemente decisivo per le sorti del pianeta, considerate le dimensioni della sua popolazione e la sua strapotenza economica. Non si salva il mondo senza di lei. Tenere aperto il dialogo, coinvolgere il Dragone insieme agli altri Paesi dell'Asia, pure loro pescatori senza regole, in un sistema di norme globali, assicurarsi che vengano rispettate: ecco le grandi sfide per il futuro dei mari.