
I babilonesi e gli egizi avevano colto bene il valore della scienza: lo testimoniano le osservazioni astronomiche e gli edifici che ci hanno lasciato. Avevano capito che il “numero” – un’invenzione tutta umana – può permettere di descrivere vari aspetti della natura, di misurarli e di formulare previsioni accurate. Dall’antica predizione delle eclissi fino ai viaggi spaziali, lo sviluppo di matematica e geometria ha accompagnato non solo la scienza ma tutta l’evoluzione umana, negli ultimi millenni.
Conoscere è comprendere, e l’intelligenza che si ha delle cose guida l’azione. Ne abbiamo un esempio lampante in questi mesi di coronavirus. I modelli matematici che mostrano le tendenze di diffusione dell’epidemia in diverse condizioni, espressi in forma grafica, si trovano un po’ ovunque, persino su WhatsApp.. Le previsioni offerte coincidono con i dati reali di propagazione del contagio in diverse regioni del mondo. Non c’è da stupirsene: sono modelli che nascono da secoli di osservazione delle epidemie, non solo nella nostra specie ma anche in parecchie altre.
A seconda di quando sono state adottate rispetto alle curve di crescita dell’epidemia, le misure di contenimento hanno permesso di mitigarne (o meno) l’impatto. Stiamo vedendo, in queste settimane, quanta differenza ha fatto tenerne più o meno conto. Ci sono più ragioni per praticare e promuovere la scienza, ma non basta già la sua capacità di previsione?