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Nuovi detriti in orbita da un razzo russo. Il problema della spazzatura spaziale

Il serbatoio di un motore lanciato nel 2011 si è frammentato in almeno 65 pezzi. Il traffico e gli space debris costano milioni di dollari e sono un problema che va affrontato subito, secondo gli esperti
 

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Il serbatoio di un razzo russo si è disintegrato nello spazio lasciando una scia di decine di frammenti che viaggiano ad alta velocità attorno alla Terra. A darne conferma è stata la stessa agenzia spaziale russa, il Roscosmos, con poche righe di comunicato sul suo sito. Si tratta di un motore, un Fregat-SB, che era decollato nel 2011 per lanciare il satellite scientifico Spektr-R del Laboratorio russo di astrofisica. Lo stesso Roscosmos precisa che sono 65 i frammenti che si sono generati da questo evento, avvenuto l’8 maggio sull’oceano Indiano. Le cause, tuttavia, non sono note. Questo richiama di nuovo l’attenzione per i detriti spaziali in orbita, un problema che si aggraverà in futuro, quando saranno operative mega-costellazioni di migliaia di satelliti e che, secondo l’Ocse, gonfia in maniera sensibile il costo delle missioni attorno alla Terra.
 

L’ipotesi è che il Fregat-SB possa essere esploso. Secondo il sito space-track.org, infatti, non ci sono evidenze dell’impatto con un altro oggetto in orbita. Sessantacinque pezzetti, intanto, viaggiano per lo spazio con un’orbita ellittica che li porta ad allontanarsi fino a oltre 3.600 chilometri per poi sfiorare l’atmosfera a poco più di 400 di quota, l’altezza, per intenderci, dell’orbita della Stazione spaziale internazionale. Li stanno seguendo i vari network di monitoraggio di detriti e oggetti spaziali. Compreso il 18th Space control squadron dell’Aeronautica militare Usa e l’Eusst europeo. Anche le antenne radio dell’Osservatorio di Medicina lo stanno tenendo d’occhio.

Anche le antenne radio dell’Osservatorio di Medicina li stanno tenendo d’occhio, per l’Inaf, che assieme all’Agenzia spaziale italiana (Asi) e la Difesa, sono la parte italiana all’interno del consorzio di monitoraggio europeo (Eusst) per i detriti e gli oggetti spaziali.

 Il traffico sopra le nostre teste

Nel 2019, secondo l’Unoosa (l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico) in tutto 447 oggetti (satelliti e parti di razzi) hanno raggiunto l’orbita e sono ancora lassù nello spazio. È stato un anno record ma il 2020 sbriciolerà il primato. Quest’anno infatti sono stati già lanciati 420 oggetti. Pesa parecchio il numero di satelliti SpaceX per la costellazione di internet satellitare Starlink: ogni Falcon 9 ne parcheggia in orbita 60 alla volta. E sono programmati altri decolli nel corso dell’anno. Obiettivo dichiarato: avere al più presto 1.200 satelliti per una copertura globale.
 

Al momento si contano oltre 5.500 satelliti in orbita terrestre, 2.300 ancora operativi. Gli oggetti tracciati dai network di sorveglianza spaziale sono 22.300 secondo l’Esa ma i modelli statistici stimano che ci siano lassù 34.000 pezzi più grossi di 10 centimetri, 900.000 di dimensioni comprese tra 1 e 10 centimetri e 128 milioni da un millimetro a un centimetro.
 

Se la maggior parte vi sembrano di taglia trascurabile, pensate alla variabile velocità. In orbita bassa ciascuno di questi pezzi viaggia a circa 28.000 chilometri all’ora, quasi otto al secondo. Immaginatevi un satellite, o peggio, la Stazione spaziale internazionale, colpita da uno di questi proiettili. Nel 2016 il satellite Sentinel 1A della costellazione Copernicus è stato colpito da un detrito di pochi millimetri che ha danneggiato un pannello solare per un’area larga 40 centimetri. Il proiettile di una Beretta, 9 millimetri, viaggia 25 volte più lento. Particelle come queste sono troppo piccole per essere tracciabili. Ma anche i frammenti più grandi, fino agli interi satelliti, sono e saranno un problema per il traffico spaziale.

Il costo del traffico e della spazzatura spaziale

In un recente rapporto, l’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha stimato che i sistemi di protezione e quella che viene definita “space avoidance”, il controllo e le manovre dei satelliti per evitare spazzatura o altri dispositivi spaziali, pesano non poco sul budget delle missioni. Per i satelliti in orbita geostazionaria (quindi in una zona più ‘tranquilla’) il costo per queste misure può arrivare fino al 10 per cento dell’intera missione. Questa fetta cresce se si prendono in considerazione i satelliti in orbita bassa. Parliamo di decine di milioni di dollari per evitare il rischio di veder polverizzati anni di ricerca e investimenti.
 
Nel 2009 il satellite russo Kosmos 2251, ormai spento, e l’Iridium 33, ancora operativo, si scontrarono in orbita a una velocità relativa calcolata di oltre 42.000 chilometri all’ora, oltre 11 chilometri al secondo. È stata la prima collisione spaziale tra due satelliti ancora integri. Dall’impatto si stima che si siano generati oltre 10.000 frammenti. Altri proiettili vaganti pronti a colpire.

Manovre spaziali

Dieci anni dopo, i tecnici nella sala comandi dell’Agenzia spaziale europea hanno dovuto trasferire in fretta il satellite Aeolus su un’orbita più alta, per evitare un possibile impatto contro uno dei satelliti Starlink. L’avvertimento, partito dall’Esa, non era stato ricevuto dai colleghi di SpaceX. Pare che non abbiano letto la mail di alert. Un episodio che insegna come ci sia ancora tanto da fare per regolare questo via vai. Lo ha raccontato a Repubblica Holger Krag, responsabile del programma Space safety dell'Esa: “Ora è una decisione affidata all'uomo e costa tantissimo tempo ed energie. Stiamo lavorando a un sistema per usare la tecnologia a disposizione e l'intelligenza artificiale”.

Effetto domino

A peggiorare la situazione c’è anche l’ottusità delle dimostrazioni muscolari in ambito militare. Nel 2007 la Cina condusse un test Asat (anti satellite) distruggendo con un missile la sonda meteo FY-1C a 800 chilometri di altezza. Secondo l’Esa si crearono frammenti che raddoppiarono il numero di detriti spaziali a quella quota. Come la Cina, test simili sono stati condotti anche da Stati Uniti, Russia e, ultima in ordine di tempo, l’India, nel 2019. Solo che distruggere non significa far sparire. Ma solo frammentare.
 

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Come quella di Elon Musk, altre costellazioni sono in fase di sviluppo. Nei prossimi decenni assisteremo a una nuova rivoluzione nel cielo, quella della new space economy. Ma decine di migliaia di satelliti in orbita aumenteranno la probabilità di collisioni tra loro e la spazzatura già presente. Si chiama “sindrome di Kessler”: un effetto domino difficile da fermare, se non con soluzioni nuove, come la rimozione di detriti e lo sviluppo di satelliti più intelligenti e capaci.