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David LaChapelle a Trieste: tutto quello che c’è da sapere sulla mostra al Salone degli Incanti

Fino al 15 agosto al Salone degli Incanti in mostra novantadue immagini realizzate negli ultimi cinquant’anni da uno dei più influenti fotografi contemporanei. Ecco quello che c’è da sapere

a cura di Elisa Lenarduzzi
Aggiornato alle 9 minuti di lettura

La mostra | Orari e biglietti |Biografia | Videoclip | Diversità | Moda

TRIESTE David LaChapelle è forse il fotografo/artista vivente più famoso al mondo. I suoi scatti sono conosciuti in ogni continente e sono entrati ormai nell’immaginario collettivo, un po’ come è accaduto ad Andy Warhol, il pop artista per antonomasia, suo “scopritore”, “mentore” e “maestro”.

Provocatorie e irriverenti, le sue immagini ci appaiono immediate a una prima lettura, profonde e ricche di significati secondari a una analisi più approfondita. Ed è questa molteplice possibilità di comprensione ad affascinare il pubblico che segue le sempre più numerose mostre allestite sia in istituzioni pubbliche che in gallerie private.

Basta scorrere dal sito ufficiale l’elenco delle esposizioni personali e collettive aperte negli ultimi anni tra New York, Buenos Aires, Santiago, Parigi, Londra, Venezia, Roma, Milano, Torino e Rovereto e poi Shangai, Singapore per avere immediatamente la certezza di essere davanti a un fenomeno davvero planetario.

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La mostra a Trieste

Fino al 15 agosto LaChapelle espone al Salone degli Incanti di Trieste “Fulmini”, con novantadue opere realizzate nel corso degli ultimi cinquant’anni. La mostra, promossa dalla Regione, dal Comune di Trieste e organizzata da PromoTurismo Fvg in collaborazione con Madeinart, è curata da Gianni Mercurio, curatore indipendente e saggista che ha seguito mostre su Andy Warhol, Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, George Segal, Roy Lichtenstein e Banksy.

Le 92 opere seguono una narrazione dalla struttura precisa, dalle celebrità glam allo shock mistico, sempre in una dimensione etica e estetica. Per non dire: estatica. Visitare una mostra di LaChapelle è come immergersi in un paese delle meraviglie – il nostro – allucinato e dissacrante, dove la grazia (ma anche la ferocia) di religione e Natura ci mostrano abissi, ma anche possibilità di risalita: «E ciò avviene con la solidarietà».

Opera dopo opera si ripercorrono gli anni di carriera dell’artista e fotografo americano, uno dei più influenti nel panorama internazionale, e si mettono a nudo le sue riflessioni sull’umanità, contraddistinte dal linguaggio narrativo ed espressivo dell’allegoria.

Il filo conduttore è nelle due fasi artistiche della carriera di LaChapelle: la prima è il racconto dissacrante e ironico del decennio a cavallo del nuovo millennio, attraverso la rappresentazione di personaggi della musica, cinema, moda e politica. Si passa poi a una fase più mistica e intima, in cui emerge l’impatto nell’arte del passato e la ricerca di se stesso nella natura. Dieci immagini sono extralarge.

Gli orari

La mostra resterà aperta fino a martedì 15 agosto al Salone degli Incanti di Trieste da lunedì a venerdì con orario 10- 20 (ultimo ingresso alle 19), sabato domenica e festivi infrasettimanali 10 – 21 (ultimo ingresso alle 20), chiuso il martedì.

Sono previste aperture straordinarie il 25 aprile, dalle 10 alle 21, il 1° maggio ( 10 -21), il 2 giugno (10-21), il 15 agosto (10 -21).

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I biglietti

Il costo del biglietto è intero 17 euro, ridotto 13 euro per universitari fino a 25 anni con tessera di riconoscimento; senior over 65; giornalisti con regolare tessera dell’Ordine Nazionale (professionisti, praticanti, pubblicisti); forze dell'ordine; insegnanti; guide turistiche con patentino al seguito.

Ridotto speciale, 7 euro per ragazzi 6-18 anni. Pacchetto family 1 o 2 adulti + bambini da 6 a 18 anni: adulto 13 euro, più ragazzi 7 euro. Con bambino fino a 5 anni: adulto 13 euro, bambini gratis.

Gratuito per bambini fino ai 5 anni, persone con disabilità certificata a partire dal 50%, possessori di Fvgcard. Ridotti per gruppi e scuole. Info e prenotazioni tel. 338 4962409, infomostralachapelle@gmail.com

L’artista

Ancora diciassettenne, studente di liceo, tenne la sua prima mostra fotografica alla Gallery 303 di New York City. Notato e subito dopo assunto da Andy Warhol per la sua rivista “Interview”, l’unica indicazione che ricevette dal maestro della Pop Art fu: “Fai quello che vuoi. Assicurati solo che tutti abbiano un bell’aspetto”.

David LaChapelle, nato a Hartford, nel Connecticut, l’11 marzo 1963, all’età di nove anni insieme alla sua famiglia si trasferisce a Raleigh, nella Carolina del Nord. Vittima di bullismo, a quindici anni scappa di casa e inizia a lavorare come cameriere allo Studio 54 di New York. Tornato in North Carolina si iscrive alla North Carolina School of the Arts. La sua prima fotografia è un ritratto di sua madre Helga in vacanza a Puerto Rico.

Dopo l’incontro con Warhol l’impronta pop viene a caratterizzare la sua carriera di fotografo, ricercato per i suoi scatti dalle più importanti testate di moda e attualità come “Vogue,” “Vanity Fair”, “GQ”, “Rolling Stone”, “The New York Times Magazine” o “The Face” per citarne solo alcune. Il suo stile si fa sempre più sofisticato prediligendo i “quadri artistici”: nella tradizione della “staged photography” LaChapelle allestisce dei veri e propri set cinematografici dove i soggetti diventano protagonisti di un immaginario barocco e coloratissimo dal quale spesso trapelano le ossessioni della società contemporanea occidentale consumista.

L’anno della svolta mistica

Il 2006 è l’anno della svolta: pubblica “Heaven to Hell” con quasi il doppio delle immagini rispetto ai libri precedenti, compreso uno dei suoi più famosi scatti: ricalcando l’immagine della Pietà di Michelangelo il fotografo ritrae Courtney Love come la Madonna mentre tiene in grembo il sosia di suo marito, Kurt Cobain, morto suicida nel 1994. Sul braccio abbandonato proprio come quello del Cristo michelangiolesco, si evidenziano i buchi delle siringhe utilizzate per iniettarsi l’eroina.

Lo stesso anno decide di lasciare Los Angeles per andare a vivere nell’isola hawaiana di Maui dove fonda una fattoria biologica in cui ogni cosa è prodotta con fonti di energia rinnovabile. Lui stesso inizia a curare la terra e gli animali.

Stanco delle fotografie di moda e di celebrities, decide di lavorare da allora in poi esclusivamente per musei e gallerie. Si reca Roma dove visita in forma privata la Cappella Sistina. La potenza espressiva degli affreschi di Michelangelo è tale da fargli iniziare una serie di lavori incentrati su una sua personale reinterpretazione dei temi biblici in cui affronta il tema del divino, il senso dell’esistenza e il rapporto con la morte. Ispirato dalla volta Sistina realizza “The Deluge”, una versione decisamente kitsch della scena del Diluvio Universale, trasposta in una Las Vegas in totale disfacimento. Per quest’opera verrà criticato e accusato addirittura di blasfemia. Poco dopo arrivano le immagini “After the Deluge”: nella serie “Museum” le sale, gli ambienti appaiono allagati come pure in “Cathedral”, a mettere in crisi rispettivamente il valore dell’arte e della religiosità.

Insieme a Michelangelo LaChapelle guarda all’arte barocca di Caravaggio e Andrea Pozzo, alla pittura onirica di William Blake o di Salvador Dalì. In “Rape of Africa” si ispira al dipinto “Venere e Marte” del Botticelli trasformando Naomi Campbell nella dea della bellezza delle miniere d’oro africane e i satiri in bambini soldato: l’opera intende denunciare lo sfruttamento del continente africano, delle sue risorse naturali e contemporaneamente la società capitalista, l’avidità del potere.

Le opere più recenti della serie “New World”, realizzate tra il ‘17 e il ‘19, riprendono l’iconografia religiosa in una ricerca della verità e di una nuova spiritualità in mezzo alla natura tropicale che è stata paragonata all’opera di Paul Gauguin. In “Revelations” del 2020, ispirata al libro dell’Apocalisse, ritrae una coppia di anziani che si abbraccia in una strada deserta fiancheggiata da vetrine abbandonate, mentre l’avvicinarsi di una tempesta terrificante appare imminente.

I videoclip

Insieme agli spot pubblicitari inizia a dirigere anche videoclip musicali lavorando tra gli altri con Mariah Carey, Jennifer Lopez, Whitney Houston, Christina Aguilera, Britney Spears. Nel 1998 immortala Madonna per una copertina di “Rolling Stone”. Le pubblicazioni “LaChapelle Land” del 1996 e “Hotel LaChapelle” del 1999 raccolgono le sue fotografie di celebrità quali Muhammad Ali, David Bowie, Pamela Anderson, Michael Jackson, Madonna, Elton John, Billy Corgan, Marilyn Manson, Uma Thurman, Sarah Jessica Parker, Cher, Cameron Diaz e molti altri.

Nel 2005 gira il lungometraggio “Rize”, un documentario sullo stile di danza krumping, presentato in anteprima al Sundance Film Festival, uscito poi nelle sale.

È stretto il rapporto di David LaChapelle con la musica e i suoi linguaggi, anche se a un certo punto ne ha preso le distanze. O meglio, ha preso le distanze da qualche diva che gli ha reso la vita difficile: «Mandare al diavolo Madonna – ha dichiarato – è stata la mia liberazione». L’avrebbe scaricata semplicemente chiudendole il telefono in faccia, mentre lei gli stava urlando contro, schiacciata dallo stress impostole dal music business. Anche David ha rischiato il “burnout” e ha scelto di cambiare prospettiva. «Ci sono stati anni – racconta – in cui credevo di dover avere contemporaneamente almeno tre copertine di riviste, un videoclip musicale nella top 10 di MTV, mostre…».

Ci sono però pop star di cui custodisce uno splendido ricordo, come l’amico Michael Jackson, che non smette di dipingere come un angelo, un eroe innocente. Ne ha ritratti moltissimi, da Lady Gaga a David Bowie. Nella sua carriera non si è limitato a fotografarli: ha realizzato più di trenta videoclip per artisti di grande successo, ricevendo premi come l’MTV Europe Music Awards e MVPA Awards. Non sbaglia un colpo, a partire dal pluripremiato “Natural Blues” di Moby nel 2000, che vede la partecipazione speciale dell’attrice Christina Ricci nei panni di un angelo (figura ricorrente nelle fotografie dell’artista americano), in una storia di morte e rinascita.

Diversi e fortunati i videoclip diretti per Elton John: l’incontro fra due immaginari così similmente colorati e glamour non poteva che dare buoni frutti. Ha collaborato spesso anche con Christina Aguilera: “Dirrty” creò scalpore nel 2002, descritto come “un’orgia post apocalittica”, definizione sicuramente esagerata per un prodotto tuttalpiù estremamente sensuale, tra bikini, moto, box, corpi scolpiti e spogliarelli. Un filone sexy che non poteva esimersi di approfondire con la seduttiva Jennifer Lopez: in “I’m Glad” il regista e fotografo deve essersi divertito un bel po’ citando “Flashdance”, dai costumi al balletto della protagonista.

È stato eletto “uno dei cento video più belli di sempre”: andò veramente forte nel 2002 e resterà nella storia “I’m with You” di Avril Lavigne, un tormentone che conquistò molti adolescenti.

Atmosfere più cupe, in linea con la struggente canzone, quelle usate per rendere “Tears Dry On Their Own” di Amy Winehouse, che la telecamera segue tra la stanza di un motel e le strade di Los Angeles. Iconici i ritratti di Britney Spears, di cui ha diretto “Everytime” nel 2003 e poi il controverso “Make Me” nel 2016 che ha disconosciuto: l’originale non è mai uscito e ne è stata diffusa una versione rimaneggiata, facendolo arrabbiare non poco.

La bellezza nel diverso

«Ho sempre trovato la bellezza nel diverso, è sempre stato abbastanza facile per me scovarla. Perchè penso sia ovunque e che non ci siano regole», ha detto LaChapelle in un’intervista a L’Officiel del 2020, in occasione del calendario Lavazza 2021 The New Humanity.

Fece scalpore all’epoca l’immagine costruita da David LaChapelle per una marca di jeans in cui due marinai americani si baciavano accanto allo scafo affusolato di un sommergibile per celebrare la fine della Seconda guerra mondiale. Fu una delle prime foto pubblicitarie con un esplicito gesto gay e fu un evidente richiamo a un’altra immagine entrata nella storia, quella del marinaio e l’infermiera – George e Greta - ripresi da Alfred Eisenstaedt con la sua Leica il 14 agosto 1945 a Times Square quando fu dato l’annuncio che il conflitto con il Giappone era stato vinto.

Le labbra rosso carminio, gonfie a dismisura della modella transgender Amanda Lepore sono al centro di un’altra immagine iconica realizzata da David LaChapelle. Compaiono turgide sul quadrante di un orologio della Spring Summer Collection del 2000 della Swatch che i collezionisti si sono contesi e si contendono a suon di dollari. Amanda Lepore è stata fotografata ispirandosi al ritratto che Andy Warhol realizzò a Marilyn Monroe. Anche lei attrice, cantante e “performance artist” nei locali di New York e Las Vegas. Amanda Lepore è andata oltre e ha usato a proprio fine internet dove nel 2007 compariva in più di 2 milioni e 600 mila pagine. Inoltre la sua biografia è stata tradotta in 19 lingue e negli Stati Uniti risulta da tempo ai primi posti della classifiche di popolarità tra i cantanti.

Lei, Amanda, è diventata un’icona pop grazie al sodalizio con LaChapelle che ha sottolineato con l’obiettivo la sua duplicità: è una bambina nascosta in un’armatura di femmina sexy, raggiunta faticosamente con una infinita serie di operazioni chirurgiche e di assunzioni di ormoni femminili che hanno modellato il suo corpo biologicamente maschio.

È una martire che per la libertà degli altri che ha esagerato con se stessa ed è diventata un’opera d’arte vivente, una dea dell’Olimpo pop contemporaneo. Con lei David La Chapelle ha realizzato il libro fotografico dal titolo “Artist and Prostitutes” ma anche alcuni video e numerose campagne pubblicitarie.

Il dramma dell’Aids

Ma il fotografo americano è andato oltre, ha cercato altri spazi e altre assonanze: ha scoperto Paris Hilton, ha fotografato Whitney Houston, Elisabeth Taylor, Naomi Campell, ma anche se stesso completamente nudo in una immagine dal titolo “Light Within”, una antica reminescenza dei suoi primi scatti in cui aveva fotografato giovani uomini, amici cari, ammalati di Aids nel ruolo di angeli del cielo, con tanto di ali bianche spiegate tra le nuvole scure.

«Nei primi anni Ottanta vidi diffondersi attorno a me questa pestilenza. Ebbi una specie di premonizione che si sarebbe trattato di una epidemia e che sarebbe stata enorme. Ad oggi sono morte di Aids oltre 33 milioni di persone» raccontò il fotografo in una delle tante interviste.

«Ero stato a una mostra di Robert Mapplethorpe e tornando a casa sotto la pioggia, incominciai a piangere perché capii che l’epidemia sarebbe stata una gigantesca piaga globale. Infatti molti amici incominciarono a stare male. Il mio fidanzato morì di Aids nel 1984. Io avevo 21 anni, lui 24. Ero certo che mi sarei ammalato anch’io. Non credevo che sarei stato sulla terra ancora a lungo. Non facevamo sesso sicuro. Non mi importavano i soldi. Mi importavano invece le belle immagini da donare al mondo e le foto con gli angeli lo erano sicuramente. Mi avvicinai a Dio, sono vicino a Dio fin da bambino. Per questo ho ritratto un Gesù con diversi colori di pelle perché la Bibbia dice che tutti siamo fatti a sua immagine e somiglianza».

La moda

Alexander McQueen in abito lungo e bustier nero, fugge con una torcia accesa in mano. Isabella Blow, la talent scout inglese che lanciò il designer nel mondo della moda, lo tiene per la gonna, la sua identità intuibile dal caschetto di capelli neri sotto un altissimo cappello rosso. Dietro di loro un castello in fiamme. È “Burning down The House”, l’immagine firmata nel 1996 da David Lachapelle e dal 2011 acquisita nella collezione della National Portrait Gallery di Londra. Due personaggi della moda, McQueen, uno dei più provocatori e rivoluzionari stilisti degli ultimi decenni, e Blow, icona di stile e cacciatrice di talenti, legati da un rapporto simbiotico che li accompagnò fino a un’identica scelta estrema. In questa foto si concentra il dialettico rapporto di LaChapelle con l’industria della moda e della pubblicità: un’immagine dal sapore leggero e fiabesco, carica di colori, che sul filo del l’ironia fa smascherare le vanità del sistema dai suoi stessi protagonisti.

Iceberg, Schweppes, Nokia, Armani, Motorola, Diesel, Lavazza, H&M, Kenzo, Swatch, Coca Cola sono alcuni dei brand con cui l’artista ha collaborato, investendoli e assorbendoli nel suo universo senza mai alterarne i codici e rivoluzionando la fotografia pubblicitaria e di moda. Nessun photoshop, la mania dei particolari, un messaggio di bellezza ed empatia che dev’essere colto da chiunque, non solo dagli addetti ai lavori, uno sguardo visionario più forte di qualsiasi marchio. E la bellezza dei corpi, mai volgari, come, in “Have you seen me?”, una Naomi Campbell nuda che si rovescia tra i seni un cartone di latte, una sorta di grande madre nera, ma anche una donna che chiede di essere vista, e accolta, da un occhio bianco.

LaChapelle ha firmato copertine per Vogue, Vanity Fair, GQ, The Face, Rolling Stones, The New York Times Magazine. Per Diesel l’ideazione di alcune campagne celebri. Nel 1995 “Kissing Sailors”, foto in bianco e nero rifiutata da molti direttori di giornali: il bacio gay tra due marinai quando sull’esercito americano gravava il principio del presidente Clinton “don’t ask, don’t tell”, ovvero non far parola del proprio orientamento sessuale per continuare a servire l’America da soldati.

In “Gated Community” del 2022 LaChapelle mette in fila una serie di tende per senzatetto, griffate con i loghi delle lussuosissime boutique di Rodeo Drive a Los Angeles e nella stessa sequenza. Sullo sfondo il Lacma, tempio dell’arte contemporanea della megalopoli, in procinto di essere ampliato con una raccolta record di fondi per 750 milioni di dollari.

Non è una foto di moda, come non lo è “Burning down The House”, ma ancora una volta il fondale ci offe una chiave sottile per interpretare la relazione tra LaChapelle e il mondo dell’immagine e del consumo, abissalmente distante da quanti lottano ogni giorno per sopravvivere, ed estraneo anche a chi, come lui, ne fa parte, lo rappresenta, ma sente il bisogno di prenderne le distanze. —

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