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Lunga vita dei Bagni di Trieste nel quinto inserto in regalo il 27 luglio

È un’altra delle dieci parole che accompagneranno i lettori fino a dicembre quando il quotidiano festeggerà i centoquarant’anni dalla prima uscita

Pietro Spirito
2 minuti di lettura

TRIESTE. È “Bagni” la parola di questo mese, la quinta - dopo Bora, Caffè, Mule, Lingue - delle dieci che accompagneranno i lettori da qui al 29 dicembre, quando “Il Piccolo” festeggerà i centoquarant’anni dalla prima uscita. Martedì 27 luglio, all’interno del quotidiano, i lettori troveranno l’inserto gratuito di otto pagine, dedicato all’antica abitudine dei triestini di fare i bagni di mare, di andare al bagno, come si dice. Un inserto impreziosito come da consuetudine dalle foto storiche della Fototeca comunale dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste.

“Bagni”, dunque. Intesi come stabilimenti balneari, oppure come l’atto del tuffarsi in acqua e nuotare. I primi sono tanti, a Trieste. La geografia degli stabilimenti balneari è ampia e variegata. E molti di questi impianti hanno un’impronta storica, hanno in qualche modo seguito e segnato la storia di Trieste. Come la Lanterna, o “Pedocin”, con il muro che divide oggi come allora i maschi dalle femmine, il muro più politicamente scorretto del mondo e guai a solo pensare di buttarlo giù. E poi l’Ausonia, lì vicino, altro stabilimento storico e “urbano”, praticamente inserito dentro la città, in ossequio a quell’idea moderna per cui se è vero che mare-sole-salute vanno a braccetto, allora è bene averli tutti e tre a portata di mano, fuori dalla porta di casa. E poi sì, la riviera, quella stracittadina di Barcola con i suoi Topolini, e quella più selvaggia andando verso i Duino, Sistiana, con la Costa dei Barbari e i Filtri dei naturisti. Nell’insieme, i bagni di Trieste rappresentano una specie di “avanguardia della retroguardia”, come dice la scrittrice Marina Mander nel racconto che apre l’inserto. Citando Joyce e Virginia Woolf, Marina Mander ricorda come i “bagni” triestini siano già letteratura, una narrativa senza tempo, parte del vissuto di ogni triestino. Per restare alla letteratura, cos’è il bagno a mare se non una metafora della vita? Nell’intervista raccolta da Mary Barbara Tolusso, Claudio Magris ricorda come il mare gli scorra nelle vene sin da bambino. Di più: «Per me è impensabile l’amore senza un orizzonte marino», dice lo scrittore e germanista. Le sue memorie marine sono strettamente legati alla figura della madre, che “al bagno” gli ha insegnato a nuotare, lasciandogli quel gusto per un tuffo rubato alla quotidianità, simbolo dell’abbandonarsi alla vita, alle sue gioie e sì, anche alle sue incognite. Per altro non c’è scrittore triestino che prima o poi non abbia scritto su bagni. L’inserto ricorda Stelio Mattioni, e la sua definizione dell’Ausonia, il “bagno dei tuffi dal trampolino, di ’fantastici’ quindicenni, di corse e di pacche (...)”. D’altro canto, sottolinea l’attore Stefano Dongetti, «noi sappiamo vivere il mare e il litorale come pochi al mondo». Tanto da poter meritare una medaglia d’oro se l’atto di cambiarsi con l’asciugamano legato in vita tra le auto di Barcola dovesse diventare disciplina olimpica. Nei suoi 140 anni di vita, “Il Piccolo” ha sempre seguito, e continua a seguire, la vita e le sorti dei bagni triestini. Come quando, nel 1954, avvisò i lettori che il Governo Militare Alleato aveva vietato l’uso degli scandalosi “slip” da mare. O come quando, nel giugno del 1935, segnalava “80mila triestini in mutandine per la canicola”. E ancora, nel 1969, dava conto della presenza di Lucio Battisti al bagno Sirena per registrare il filmato (allora si diceva così) della sua canzone “Acqua azzurra acqua chiara”.

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