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Scoprire il Collio - Itinerario 7 - Viaggio sui colli dove la brina nasce dagli abiti delle fate

Dal dialogo tra una madre e il figlio annoiato emergono le antiche leggende che in italiano, sloveno e tedesco ambientano sul Collio storie di spiriti e streghe

Lucia Pillon*
3 minuti di lettura

«Mi annoio», mi fa. Guai in vista, penso, e suggerisco: «Vai a fare una camminata, adesso si può. Non dimenticare la mascherina!».

«Guarda che, fuori, adesso sta diluviando», mi fa notare. Alzo gli occhi dalla tastiera e scopro che ha ragione. Rinuncio a lavorare; meglio rispondere, quando ti chiedono qualcosa: l’occasione potrebbe non ripresentarsi.

«Pensavo di andare sul Collio, domenica, per uno di quei percorsi con le storie, sai» - arrischio -. «Magari “Le fate del Preval”».

«Ma è da piccoli!».

Scoprire il Collio - Itinerario 7 - "Le fate del Preval"



«Sì, ma è il più corto, e noi siamo fuori allenamento. Se va bene per i bambini, agli adulti non sarà vietato, no?».

«D’accordo. Ma là ci andremo domenica, se non piove. Mentre è adesso che mi annoio».


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«Adesso ci leggiamo qualcosa». Poiché lo vedo offuscarsi, cerco di aggiustare il tiro: «È un gioco, e le regole son queste. Prima: con i libri costruiremo delle sequenze: io ne propongo uno, tu continui con un altro, poi tocca di nuovo a me e così via. Seconda: vietato procedere a casaccio: ci dev’essere sempre un nesso».

«Di’ la verita, sta cosa la covavi da tempo! Vabbè, comincia tu».

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«Hai ragione, mi sono preparata - confesso -. In previsione della passeggiata con la fiaba, ho ripreso in mano “Le leggende del Friuli e delle Alpi Giulie” di Anton von Mailly, e ci ho trovato “Le fate della brina sul Collio”. Ascolta, te la leggo: “Nella zona collinare del Collio presso Gorizia, che nel medioevo i tedeschi chiamavano in den Ecken (negli angoli), di notte si alza spesso un forte vento per annunciare il raduno degli spiriti della notte. Nell’oscurità le Vile scendono nella valle. I loro abiti trasparenti brillano come fossero trapunti di diamanti e di gemme. Su un prato si tendono le mani per una lenta ridda. Quando sorge il sole perdono i loro gioielli: l’una dopo l’altra le gemme si staccano dai loro veli fluttuanti, trasformandosi nella brina sui prati”» .

«Viene da leggende slovene, la storia?».

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«Sì. Mailly, però, la riprende da un libro: “Alpi Giulie” di Giuseppe Caprin, stampato a Trieste nel 1895. Non l’abbiamo in casa, bisognerebbe cercarlo in una biblioteca».

«Può darsi riesca a trovarlo nel web. Ora tocca a me, no? Fatto! Ed è pure liberamente scaricabile. Mmh, sono più di 400 pagine … bè, avrà un indice, no? Qui scrive di Castelli del Coglio … ma si diceva proprio così, nell’Ottocento? Ecco, trovato, a pagina 261. Toh, Caprin la fa finire in maniera diversa: per lui le gemme diventano rugiada, non brina. Bah, non mi piace come scrive, preferisco Mailly. E poi mi sa che queste sono più streghe che fate…».

«Tutte le fate sono anche streghe», sentenzio.

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E lui: «Come le madri?»

Mi trafigge. «Touchè. Riparto da Mailly, se non ti dispiace. Nel “Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani” ci sarà bene una voce che lo riguardi. Eccola, infatti: Mailly von, Anton folclorista”; l’autore è Hans Kitzmüller».

«Kitzmüller? Di quello lì abbiamo un libro, in casa!».

«Più di uno, a dir la verità».

«Sarà, ma io ne ricordo uno con un paesaggio in copertina: c’era una pianura verde attraversata da un fiume, e sopra un cielo chiaro, con delle gran nuvole rosa … Mi piaceva».

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«Un cielo da alba, o “da trionfo barocco gesuitico”. Vado a ripescarti il libro dallo scaffale. È questo, vero? Hans Kitzmüller, “E in lontananza Gorizia”, del 2009. Parla del Collio (nei suoi vari nomi: In Ecken, Brda, Cuei), come di altri “paesaggi vissuti”. Ci trovi infiniti riferimenti possibili! Io passo a Peter Handke, di cui Kitzmüller, nelle Edizioni Braitan (cioè Brazzano) ha tradotto e pubblicato il “Canto alla durata” già nel 1988».

«Handke, dici? L’austriaco che ha pronunciato il suo discorso al funerale di Slobodan Miloševič? E che l’anno scorso si è preso il premio Nobel?».

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Gli rispondo di sì, spiegandogli che bisognerebbe cercare di capirne bene la posizione «anche senza necessariamente condividerla», come ha scritto Hans Kitzmüller.

«Va bene, ma ora io ripartirò dal cielo: da quello dell’alba al “Cielo sopra Berlino”, il film di Wenders, ricordi?».

«Sì. Hai fatto doppio centro, sai? Sono di Handke i versi da cui Wenders fa cominciare il film. Ne so alcuni a memoria: “Als das Kind Kind war…” - recito - e proseguo in italiano come nel doppiaggio: “Quando il bambino era bambino, era l’epoca di queste domande: perché io sono io, e perché non sei tu? Perché sono qui, e perché non sono lì? Quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio? La vita sotto il sole è forse solo un sogno?».

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«Quelli che recita il vecchio all’inizio. Sai che ti dico? Visto che dal Preval siamo arrivati a Berlino, il gioco finisce. Vado a riguardarmi il film di Wenders».

Si allontana, e mi tornano in mente i versi finali dell’Elogio dell’infanzia: “Quando il bambino era bambino, lanciava contro l’albero un bastone come fosse una lancia, che ancora continua a vibrare”.

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Questa, più che un’anteprima, è una bibliografia, per affrontare preparati il percorso “Le fate del Preval”. Vi aggiungo i numeri degli obiettivi di Sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda Onu 2030 che vi sono connessi: 3, 13, 14 e 15. Termino con un’ultima citazione da Handke: «Adulti conservate la vostra andatura infantile (preghiera)».

*Archivista professionista di Gorizia.

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