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E ora la sfida è il superamento delle province

L’assetto istituzionale: dal ’93 la Regione ha competenza totale in materia di enti locali, ma la riforma ha stentato a partire

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LEOPOLDO COEN. Con legge costituzionale, nel 1993, viene attribuita al Friuli Venezia Giulia la competenza legislativa esclusiva in materia di enti locali, successivamente meglio specificata nel decreto di attuazione del 1997. Sarà tuttavia necessario attendere il 2006 perché la Regione eserciti in modo organico la propria competenza, l’unica, si badi, di carattere ordinamentale tra quelle pur previste dallo Statuto.

L’ambizione del legislatore regionale è disegnare un assetto di rapporti istituzionali che privilegi il dialogo diretto tra la Regione e i comuni, facendo di questi enti i punti di riferimento del governo del territorio e dello sviluppo a livello locale e superando le criticità derivanti dalla loro estrema frammentazione mediante la promozione di forme di aggregazione in aree omogenee. In tale contesto alla provincia vengono affidate solo competenze per lo piú relative ai servizi “a rete”: scelta contestata dal Governo, che impugna la legge regionale, ma poi avallata dalla Corte costituzionale.

Il disegno riformatore, appena avviato tra molte inevitabili difficoltà, viene messo in discussione e praticamente smontato di lí a poco, non appena cambia di colore il governo regionale, che si avventura invece in un complicato progetto di costituzione delle unioni dei comuni montani, che non vedrà mai la luce, se non sulla carta.

Questo sintetico resoconto serve a rendere l’idea non solo delle difficoltà che hanno segnato un percorso che in realtà, a questo punto, deve essere nuovamente intrapreso, ma anche della timidezza con cui la Regione ha affrontato una questione che invece è cruciale per favorire la competitività di questo territorio e costituisce un tratto caratterizzante i poteri della specialità. A differenza di quanto vale per le regioni ordinarie, infatti, il Friuli Venezia Giulia può disciplinare con proprie leggi non solo gli organi del governo locale, il sistema elettorale e le loro attribuzioni fondamentali, ma anche la loro circoscrizione territoriale. È perciò facile comprendere come un esercizio coraggioso della competenza regionale possa incidere sull’assetto e sul funzionamento dell’apparato amministrativo nel suo complesso e costituire perciò un fattore decisivo per il benessere dei cittadini e per la possibilità di attrarre imprese, colmando quel gap competitivo che qui le penalizza, rispetto alle realtà di oltre confine. Si riparte dunque, puntando nuovamente sull’aggregazione dei comuni e sul superamento della provincia. In realtà il processo non è destinato a concludersi in tempi brevi e forse è persino opportuno non sia cosí. Per abolire definitivamente le province c’è infatti bisogno di una riforma della Costituzione, poiché l’individuazione degli elementi costitutivi della Repubblica (articolo 114 della Costituzione) esula dai poteri regionali. Ove al centro si formasse (finalmente) una volontà politica coesa, sarebbe questione di sei mesi al massimo per arrivare alla doppia lettura necessaria all’approvazione della legge costituzionale. Nel frattempo a livello regionale si avvierebbero quelle azioni che necessariamente devono accompagnare un processo del genere e che non possono esaurirsi nell’approvazione di qualche testo normativo. Anzi, al contrario: andrebbero privilegiate iniziative che puntino, come infatti sta accadendo, ad accompagnare la trasformazione dell’amministrazione con un adeguato supporto formativo rivolto ad amministratori e funzionari, andrebbe messa mano a quelle leggi di settore che di fatto rendono estremamente difficile ai comuni operare “in forma associata”, anche qualora (e non è scontato) esista una forte volontà politica di procedere secondo queste modalità. Si tratterebbe, in sostanza, di riuscire a compiere un salto innanzitutto di natura culturale, che coinvolga tanto la Regione quanto gli enti locali, sia sul piano della legislazione, sia su quello dell’amministrazione. Per governare in modo integrato in un sistema di governo multilivello servono infatti poche leggi e tanta politica: si tratta di “governare per politiche”, piuttosto che “legiferare per materie”, individuando cioè obiettivi e tempi in cui conseguirli, differenziandoli in ragione delle diversità espresse dalle singole vocazioni territoriali e stipulare veri e propri accordi di programma, in cui ogni livello di governo è chiamato a fare la sua parte e di questo può essere chiamato a rispondere. Si tratta di una sfida impegnativa, ma ormai, è chiaro a tutti, ineludibile.

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