Ichino: «Electrolux, emblema di un sistema in crisi Altro che ricatto»
Il giuslavorista senatore di Scelta civica: «Non siamo attrattivi Basta spendere fiumi di soldi in cassa integrazione a perdere»

TRIESTE. «Parlare di ricatto non mi sembra il modo migliore per capire il problema, anzi l’insieme dei problemi, e per trovare una soluzione». Pietro Ichino evita le facili sintesi sul caso Electrolux. Il giuslavorista senatore di Scelta Civica - domani a convegno Trieste alle 17 alla Stazione Marittima con Alessandro Maran - rileva i nodi della vicenda: «Un costo del lavoro gravato da un prelievo fiscale e contributivo eccessivo; un livello medio troppo basso di produttività; la chiusura del nostro sistema agli investimenti esteri, che per lo più portano con sé piani industriali innovativi, che a loro volta aumentano la produttività del lavoro».
Come si arriva alla minaccia di andarsene di una multinazionale straniera?
È un’altra manifestazione dello stesso problema. Il fatto che una singola grande azienda in fase di contrazione riduca o cessi l’attività non sarebbe drammatico se intorno ci fossero una, due o tre altre grandi imprese in fase di espansione. Per questo è indispensabile tornare a essere attrattivi verso gli investimenti stranieri.
E invece?
E invece noi, oltre a non curare i difetti strutturali che penalizzano le imprese, abbiamo una marcata ostilità verso le multinazionali. Basti pensare al messaggio lanciato al mondo intero in passato osteggiando i nuovi investimenti di Fiat-Chrysler a Pomigliano e a Mirafiori. Oppure rendendo la vita difficile ai progetti di Abn Amro su Antonveneta nel 2005, di Air France KLM su Alitalia nel 2008, o di Lactalis su Parmalat nel 2011.
Il caso Electrolux segna il fallimento del modello industriale nel Nord Italia?
Direi, piuttosto, la crisi di un sistema-Paese incapace di allinearsi agli altri Paesi maggiori almeno su sette fronti: quelli dell’ordinamento fiscale, dell’efficienza delle amministrazioni pubbliche e soprattutto di quella giudiziaria, del costo dell’energia, del costo dei servizi alle imprese, troppo alto per difetto di concorrenza, del sistema delle relazioni industriali, della legislazione del lavoro, dell’efficienza dei servizi di formazione e collocamento nel mercato del lavoro.
È ancora possibile, e in che modo, convincere le multinazionali a fermarsi in Italia?
Certo che è possibile. Non solo a fermarsi, ma a portare qui nuovi insediamenti. Occorre però migliorare le cose su tutti i sette fronti. E con molta decisione. Basterebbe lanciare alcuni segnali di inversione di tendenza: per esempio, mettere subito in cantiere alcune delle misure più importanti indicate nel documento “Destinazione Italia”, pubblicato dal governo nel settembre scorso e rimasto lettera morta.
E sul versante lavoro?
La riduzione del cuneo fiscale e contributivo, il Codice semplificato del lavoro, la sperimentazione del contratto di ricollocazione per riconvertire e reinserire i disoccupati nel tessuto produttivo e non continuare a spendere fiumi di soldi in cassa integrazione.
Quali le responsabilità del sindacato?
Di stretta competenza del sindacato è il sistema delle relazioni industriali. Qui, sia pure in grave ritardo, negli ultimi anni il movimento ha fatto passi avanti importantissimi, con lo spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso la periferia, cioè il potenziamento del contratto aziendale rispetto a quello nazionale. Basti pensare che ancora nel 2010 la Fiom-Cgil considerava le tre deroghe al contratto nazionale chieste dalla Fiat-Chrysler a Pomigliano come un «attentato ai diritti fondamentali dei lavoratori». Con l’accordo interconfederale del giugno 2011 si è voltato pagina rispetto a quel modo di intendere l’intangibilità del contratto nazionale. Ci sono però ancora ampi settori del movimento sindacale che quella svolta non l’hanno digerita.
Prima della bagarre sulla legge elettorale, Matteo Renzi era partito con la proposta sul lavoro. Luci e ombre del Jobs Act?
Per ora della proposta del Pd si conoscono soltanto sei titoli di capitoli: troppo poco. Credo che quel partito farebbe bene ad attingere alle proposte di Scelta civica proprio su abbattimento del costo del lavoro, Codice semplificato e contratto di ricollocazione.
In che tempi potrà funzionare quest’ultima novità voluta dal suo movimento nella legge di Stabilità?
Ogni Regione può far partire la sperimentazione anche subito. Lazio, Trentino e Lombardia si stanno attrezzando. A Trieste discuteremo di come avviarla anche in Friuli Venezia Giulia.
È il caso di investire nella riqualificazione dei servizi pubblici per l’impiego o di consegnare domanda e offerta al libero mercato del lavoro?
Il contratto di ricollocazione serve a realizzare la migliore sinergia tra servizio pubblico e imprese private specializzate: il Centro per l’impiego riceve il lavoratore, ne determina il grado di collocabilità, lo informa sugli obblighi che derivano dal contratto e sulle imprese accreditate disponibili, lo invita a scegliere tra di esse quella a cui affidarsi, gli mette a disposizione un voucher opportunamente determinato, cioè il buono necessario per pagare il servizio, che però sarà pagabile solo a risultato ottenuto.
Che ne sarà di Scelta civica?
Insieme a Italia Futura, ad Ali e ad altre associazioni e movimenti civici, rappresenteremo l’area politica che nell’europarlamento si riconosce nell’Alleanza dei Liberal-Democratici per l’Europa. Primarie a marzo – tutti saranno invitati a parteciparvi – e obiettivo il 10% delle politiche 2013.
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