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Masserizie degli esuli. L’Irci apre il Magazzino 18

A Trieste visite guidate in occasione del Giorno del ricordo, l’unico precedente nel 2004 dopo il trasloco dei materiali dall’hangar 26. Il nodo della collocazione definitiva

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Raccontato in musica da Simone Cristicchi, simbolo di una ordinaria quotidianità inghiottita dalla crudezza dell’esodo, il Magazzino 18 sarà aperto al pubblico in occasione del prossimo Giorno del ricordo. Lo sarà a dieci anni di distanza dalla prima - e unica - volta in cui l’Irci organizzò in Porto Vecchio una giornata di visite alle masserizie degli esuli istriani che lì giacciono. «Dobbiamo ancora chiedere i permessi all’Autorità portuale e vedere di organizzare un bus-navetta per raggiungere l’hangar», che è vicino al 26; «ma puntiamo a organizzare una serie di ingressi nelle date immediatamente successive al 10 febbraio», ricorrenza del Giorno del ricordo, annuncia la presidente dell’Irci Chiara Vigini invitando già chi fosse interessato a contattare l’Istituto. La decisione è stata presa in base a vari fattori: il decennale dell’approvazione della legge istitutiva del 10 febbraio, il fatto che al Museo di via Torino dove si soleva celebrare il Giorno con qualche esposizione sia già allestita la mostra di Manlio Malabotta, ma certo anche l’interesse che per il Magazzino 18 è stato nuovamente suscitato dall’opera di Cristicchi.

«C’è da lavorare per sistemare il tutto quanto basta», dice aggirandosi nei polverosi stanzoni del 18 Piero Delbello, il direttore dell’Irci che ha le chiavi del deposito e che alle masserizie ha dedicato anche un libro quando ancora mobili, attrezzi da lavoro, libri, sussidiari scolastici, quaderni, giochi, abiti, cucchiai, mattarelli, scatole di bottoni erano depositati nel Magazzino 26. Quello al 18, avvenuto nel 2001, è stato infatti l’ennesimo trasloco subìto dalle cose che furono degli esuli nel corso degli anni, capitolo di una vicenda che si aprì nel 1947. Affidato alla gestione prefettizia, il materiale venne accatastato nel Magazzino 22 dove rimase fino al 1988, quando l’edificio venne demolito. Una parte delle masserizie andò perduta con l’arrivo delle ruspe; durante lo sgombero poi divampò un incendio che distrusse altro materiale. Ciò che si riuscì a salvare fu collocato nel Magazzino 26: era il periodo in cui le masserizie vennero donate dalla Prefettura all’allora neonato Irci. In anni più recenti il restauro dell’hangar più grande di Porto Vecchio ha indotto a un altro trasloco: al 18, dunque. Dove oggi, dice Delbello, sta quanto è rimasto: «più o meno la metà» delle cose che arrivarono subito dopo la guerra dall’Istria, ma che negli anni successivi dalle Prefetture di più città d’Italia continuarono a essere inviate nel capoluogo giuliano. Fatte arrivare dalle varie ditte di spedizioni nelle località di destinazione delle famiglie che ne erano proprietarie, in più casi rimasero nei depositi. Senza che nessuno più le reclamasse. E dunque furono fatte infine convergere in Porto Vecchio, dove oggi occupano una parte del primo piano del 18. «Cose che hanno un senso e un significato simbolico se mantenute nel loro insieme, non certo se frammentate», rimarca Piero Delbello: lo smantellamento farebbe loro perdere il valore simbolico.

Ma intanto quello della collocazione definitiva resta un problema aperto. Dice Delbello: «Basterebbe creare un percorso all’interno di cataste e scaffalature, nella storia di Porto Vecchio c’è anche quella delle masserizie degli esuli». «Certo ci vuole un progetto. La scorsa estate ho scritto una lettera alla presidente dell’Autorità portuale lanciando la proposta che venisse programmata una mostra permanente al 18 o in un angolo del 26», dice Vigini, «ma non ho avuto riscontro».

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