L'intervista. Brunetta offre al Pd un patto di legislatura «Ma attenti a Renzi: destabilizza»
Il capogruppo dei berlusconiani spiega al Piccolo i suoi obiettivi: vuole un intesa quinquennale «Il riequilibrio dei ministeri è soltanto l’ultimo tassello»

TRIESTE. “Rimpasto” non gli piace come termine. Il “rimpasto” o il “tagliando”, ricorda, l’ha chiesto Guglielmo Epifani. Ed è stato un intervento «non amichevole, inutile, quasi irresponsabile». Renato Brunetta insiste invece sul termine “riequilibrio”. Chiede più ministri per il Pdl - questione di pari dignità legata all’esito elettorale - ma, precisa, «si tratta dell’ultimo tassello di un’operazione di più ampia portata e di grande responsabilità». Un «patto di legislatura», spiega il presidente dei deputati del Pdl, cui dovrà seguire, «se accettato dal Pd», la stesura di un programma quinquennale che metta ai primi posti dell’agenda riduzione del debito, riforma fiscale, pagamenti della pubblica amministrazione. Perché, sottolinea, «la politica dei piccoli passi è sbagliata. A noi serve uno choc dell’economia: aumentare la flessibilità interna per far lavorare i giovani, cambiare i poteri di Equitalia, non tassare la prima casa».
Onorevole Brunetta, perché la richiesta di riequilibrio arriva adesso e non quando si formò il governo?
Questo è un governo nato dopo 60 giorni di inutile passione voluti e persi da Bersani. Il corteggiamento di Grillo e dei grillini per costruire un esecutivo di sinistra e sinistra estrema ha avuto come unico risultato le dimissioni di Bersani, l’impallinamento di Marini e Prodi e il disastro dal punto di vista della coesione del Paese.
Poi però è arrivato Letta. Perché il Pdl non ha voluto più ministri?
Fin dal primo giorno dopo un voto che ha sancito la sostanziale parità tra i due maggiori schieramenti abbiamo sostenuto la grande coalizione, ma siamo stati inascoltati. Fallito il tentativo di Bersani, si è dovuto procedere in fretta e furia a formare il governo, senza una programmazione puntuale.
Quindi il vostro è stato un sacrificio?
Ha prevalso la logica dell’emergenza e ci si è accontentati, chiamando ancora una volta una componente di tecnici, di una prospettiva lunga non oltre i 18 mesi. Il senso di responsabilità ci vede lavorare lealmente su Imu, Iva, decreto del “Fare”, avvio della riforma costituzionale. Ma la nostra presenza nel governo è inferiore ai voti conseguiti.
Tutto è partito da Epifani. Perché?
Risolto il caso kazako con il voto contrario del Senato alla mozione di sfiducia nei confronti del vicepresidente Alfano, il segretario del Pd se ne esce con la proposta del tagliando e del rimpasto. Dopo le polemiche dei giorni precedenti, ci è parsa una richiesta non amichevole, inutile, quasi irresponsabile. In risposta il Pdl, per mio tramite, indica la strada seria e responsabile di un patto di legislatura che superi il traguardo dei 18 mesi e porti il governo al 2018 con un programma condiviso e ambizioso.
E la questione dei posti?
Dopo patto e programma, il rafforzamento del governo risolverebbe l’urgenza di pari dignità tra i due maggiori partiti della coalizione.
E se il Pd non ci sta?
Se qualche democratico non digerisce la controproposta pensi a chi ha iniziato il gioco del tagliando. Le polemiche del Pd non sono null’altro che una puntura di spillo rispetto alla nostra politica che ha obiettivi di ben più ampia portata. L’Eurozona va male, siamo alla recessione, il governatore Visco ci dice che il vero male dell’Italia è l’incertezza politica. Mi pare dunque che il nostro atteggiamento sia di grande coerenza e serietà rispetto a chi preferisce prospettive brevi e rimpastini.
Come valuta le prime reazioni?
Franceschini ha sconfessato Epifani. Ma è soprattutto dalla cabina di regia che emerge la voglia strategica di Letta di programmare un quadro di riforme. Il governo ha tutto da guadagnare anche nell’immediato dal patto di legislatura. Tanto più che a luglio 2014 saremo noi, Italia, ad avere la presidenza della Ue. Non ci resta che aspettare il Pd.
Fino a quando?
La riflessione è strategica e la stagione giusta è l’autunno.
Quali le cose da fare, se la risposta sarà positiva?
Innanzitutto l’attacco al debito per anticipare quanto ci viene imposto dal fiscal compact. Poi la riforma fiscale, da approvare in autunno e attuare nei mesi successivi, quindi il rispetto dei pagamenti pubblici: 100 miliardi di euro che potrebbero rilanciare l’economia.
Il possibile accordo tra Pdl e Pd segnerebbe il riscatto della politica?
La grande coalizione fa bene al Paese perché è la conseguenza del risultato elettorale.
Teme che il movimentismo di Renzi possa nuocere al progetto?
Questo non è un bene o un male. È un fatto. La politica si fa con gli attori che ci sono e il Pd, in pieno congresso, si prepara a un appuntamento esistenziale. Se vince Renzi, il Pd che conosciamo finirà. Ma finirà anche il governo Letta.
Il Pdl che momento vive?
Di grande coesione interna e di grande preoccupazione rispetto a giustizia e Cassazione.
Può cadere il governo se la sentenza sul processo Mediaset sarà di condanna?
I governi non cadono per sentenza, ma il 30 luglio sono in gioco le regole della democrazia. Sono ottimista che le cose vadano secondo giustizia.
Come giudica il comportamento del Movimento 5 stelle in Parlamento?
Nessun giudizio. Mi sembrano entusiasti ma inesperti, li guardo con tenerezza.
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