«Potrei assumere operai invece devo chiudere»
La paradossale vicenda della veleria di Piedimonte “uccisa” dalla burocrazia Nadale: «Ci sono margini di crescita, ma ho dovuto svendere i macchinari»

Il paradosso è che il lavoro c’è e ci sarebbero anche margini di crescita. L’azienda potrebbe assumere più di una decina di persone. Invece chiuderà. E il suo titolare andrà a fare il consulente all’estero lasciando il suo capannone alle banche. Tutto per colpa della burocrazia.
La storia è quella della veleria Wave-dogs sailmakers di Piedimonte e di Aaron Nadale ed è l’esempio paradigmatico dell’Italia imprenditoriale che potrebbe funzionare, ma non riesce a farlo per cause esterne.
Tutto ha inizio con la richiesta di un finanziamento di spesa di poco superiore al 50% su un imponibile di 533mila euro. Il denaro serve per ampliare l’attività, spostandola nella zona artigianale di Piedimonte. La Regione l’accetta. Alla fine, però, la spesa è inferiore al previsto. Tutto bene? Neanche per idea. «Alla rendicontazione - spiega Nadale - per far vedere che, comunque, il progetto era coerente, ho inserito, a parte, altre spese sostenute». Tutte le carte sono contenute in un’alta cartella verde sul cui frontespizio è scritto “Finanziamento Fvg preventivi originari presentazione progetto 2006-07”. Nadale la apre e tira fuori un foglio: «Dopo un colloquio arriva la comunicazione in cui mi dicono che stanno pensando di revocare il finanziamento. Dalla lettera si capisce che non hanno nemmeno letto quello che ho scritto loro».
Secondo la Regione l’idea originaria è stata accantonata. Nel caso di specifico Trieste sostiene la difformità tra l’iniziativa effettivamente realizzata e quella oggetto del provvedimento di concessione. Finanziamento cancellato.
Risultato? «Da due anni stiamo svendendo attrezzature e knowhow all’estero e piano piano stiamo chiudendo perché non ce la faccio a pagare i debiti. Le banche dicono che se la Regione non ci ha dato il finanziamento, significa che non siamo seri e affidabili. Olte al danno economico, quella decisione, ne ha creato uno anche più grave: d’immagine. Ho deciso di raccontare la mia storia, non per avere giustizia, perché ormai è tardi, ma per evitare che altri imprenditori si lascino tentare da queste promesse di finanziamento. Nelle mie stesse condizioni ci sono almeno una trentina di altre aziende. Ho realizzato il capannone solo perché sapevo che potevo contare su quei soldi. Non era un salto nel buio. Ora ho licenziato tutti gli operai e ho tenuto solo un dipendente, ma nel settore amministrativo, non in produzione. Entro l’anno chiuderò definitivamente. Se non l’ho ancora fatto è perché mi restano l’orgoglio e la coerenza: prima di chiudere devo finire di pagare i debiti». L’amara cnclusione di Nadale è accompagnata da tanta rabbia. «Purtroppo in questo Paese non sono l'unico ad essere stato ucciso imprenditorialmente dall'indifferenza di un istituzione mal gestita, sono in moltissimi e il sistema giudiziario lentissimo ed i costi assurdi dei ricorsi al Tar completano il crollo di tante brave persone».
Una volta sistemati i conti e chiuso il capannone di Piedimonte, Nadale andrà all’estero a fare il designer per conto di altre aziende. Eppure avrebbe potuto dare lavoro a Gorizia e a diverse famiglie goriziane. Pardaossi italiani.
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