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Miramare, un parco in agonia. La Regione: datelo a noi - FOTO 1 | 2

Il parco versa in uno stato di degrado avanzato: né aiuole, né cigni; il giardino è senza piante; fango e carpe morte. Mancano soldi (statali) e personale per la gestione. La Regione: lo potremmo gestire noi

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TRIESTE

Le insegne sono resistenti, continuano a dire “Lago dei cigni” e “Vietato calpestare le aiuole”. Ma non ci sono più cigni né tantomeno aiuole, sono spariti nei lampioni del vialetto d’ingresso perfino le lampade e son rimasti i fili penzolanti. Le palme sono una cascata di foglie morte e mentre si guarda quelle s’inciampa nelle buche dell’asfalto e si scivola su letti d’ago di pino rinsecchiti. Ha resistito alla siccità solo l’erba matta. Ha invaso recinti e bordure, ghiaie e praticelli desertificati, contorni di fontane che non “fontanano” più.

Sì, nel parco di Miramare è passato come un vento di morte. Sono morte le carpe nel torrentello, una morte atroce, bestie soffocate dal fango, adesso l’acqua è scomparsa del tutto e dal leggiadro ponticello ci si affaccia su nera fanghiglia. Servono 24 mila euro per ripulire l’alveo. Non ci sono. È sparito, inaudito a dirsi fino a poco tempo fa, perfino quel mitico tassello con la data del giorno fatta di sassi colorati, che un tempo soggiaceva alla statua di Massimiliano d’Asburgo, trasferita forse per tempo in piazza Venezia: il fantasma dell’ex padrone di casa avrebbe vibrato di orrore nel vedere il parco di Miramare, costruito zolla a zolla, con semine rare e preziose, ridotto improvvisamente a prateria, a luogo tornato a natura selvaggia.

I turisti protestano, riempiono del loro sconcerto il “book” degli ospiti al castello, e molti sono gli stranieri che lasciano il segno della grande delusione. I triestini, che portano l’ospite di riguardo nel posto migliore, si mangiano le mani perché c’è da vergognarsi. T’immagini che pubblicità. Trieste sta perdendo il gioiello da 1 milione di visitatori all’anno, e chi sovrintende può solo fare la lista di tutte le cose che mancano e che non si riescono a fare, o che non si faranno più: i fiori, per esempio, sono da scordare. Ogni estate costano 30 mila euro. Per l’economia “di guerra” della Soprintendenza, un lusso da tagliare. Qui è la “spending review” il nuovo padrone di casa.

Coi denari che ci sono si decide per lavori strutturali (rete dell’acqua che perde, fognature, alberi vecchi che rischiano di crollare). Con 600 mila euro adesso si farà una gara per individuare gli alberi da sopprimere, poi una seconda gara per sopprimerli veramente. Il finanziamento ministeriale del 2012 per i lavori di manutenzione non è ancora arrivato: 220 mila euro, salvo gli annunciati ulteriori tagli. E siamo già a settembre.

Così non c’è più una ditta che mantenga il verde. L’appaltino-ponte della durata di pochi mesi (impossibile bandire una gara senza promettere il pagamento, impossibile prometterlo se non è in cassa) riguarda solo la pulizia dalle cartacce. Insomma nessuno in verità si è preoccupato di far pulire anche le erbacce. Ora si sta pattuendo un extra per cesoiare qualche pianta secca.

La visione più terribile è il “parterre” che sovrasta il porticciolo e porta al bar: ovvio punto di raccolta di ogni “miramarista”. Il giardino all’italiana “da cartolina” per il suo di solito coloratissimo aspetto non solo è rimasto senza piante, ma ha le bordure di bosso di un inquietante color giallo paglierino, infestate da erbe. Bosso malato da tempo, mai nemmeno levato. Le indicazioni botaniche in possesso della Soprintendenza dicono che lì non si potrà piantare più niente per almeno 6 mesi. Dunque non mette radice nemmeno la speranza. La fontana è prosciugata e spenta, la scalinata che porta giù sembra un posto che “c’era una volta”. Svettano i cipressi, che vivono anche là dove si muore.

Il parco brullo sarebbe una contraddizione in termini, ma il “clou” turistico che ha sempre fatto gelosia a Trieste è adesso roba da piangere. Nei bagni retrostanti il bar (molto recenti) le infiltrazioni d’acqua hanno lasciato segni di ruggine, le piastrelline del pavimento si staccano in più punti, una tavoletta del wc è spezzata a metà. Salendo salendo, si va per gradini rotti (talora con segni di rattoppo), ci sono tronchi schiantati, e vecchie insegne del “Parco tropicale” (i colibrì recitati, sotto sequestro) che hanno l’allegria di un circo andato in fallimento.

Non è poco. Ma se fosse tutto, saremmo solo a invocare un giardiniere. Quel che annuncia il soprintendente, dopo aver ammesso che «sì, il “parterre” fa schifo», è invece una storia ancora peggiore.

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