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Cinema a Trieste, l’Ariston boicottato pensa alle seconde visioni

Lettera aperta di Brizzi agli spettatori contro i ricatti della distribuzione e la concorrenza sleale delle altre sale cittadine: «Così è impossibile lavorare»

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«Credo non basti proiettare film di qualità o essere iscritti nell’elenco delle sale d’essai per venire considerati un “cinema doc“. Le cose che contano sono la sala e il rispetto per il pubblico». Isidoro Brizzi, gestore dell’Ariston e storico proiezionista triestino, inizia così una lettera aperta al suo pubblico e divulgata sul sito internet. È un grido di allarme. Giovedì il cinema di viale Gessi ha chiuso per mancanza di film. La pellicola in programmazione, “The Lady” di Luc Besson, che stava andando bene, è stata ritirata dal distributore veneto perché richiesta da Verona. L’alternativa era mettere su per un giorno “Polisse” di Maiwenn Le Besco, che attende da mesi, prima di partire con “Il mio migliore incubo!” di Anne Fontaine con Isabelle Huppert. «A queste condizioni preferisco chiudere», spiega Brizzi. I distributori sono diventati il suo «peggiore incubo».

C’è un film bosniaco, “Il sentiero” di Jasmila Zbanic, che aspetta da mesi di essere programmato e di cui gli spettatori conoscono a memoria il trailer. «L’Ariston forse non sarà una sala perfetta - continua Brizzi - ma, tra le prime in Italia, proietta film di qualità da più di 40 anni, l’ultimo esercizio cittadino fuori dai circuiti». L’ultima sala rimasta a Trieste. Quella di Brizzi è una forma di resistenza nei confronti dell’avvento del digitale, dello strapotere dei multisala e dei ricatti della distribuzione. «È impossibile lavorare. Tra un po’ mollo tutto. Faccio solo film indipendenti e seconde visioni. Mi sono rotto le scatole», dice.

Quella delle seconde visioni è una tradizione che a Trieste è scomparsa con il Capitol di viale D’Annunzio e l’Alcione di via Madonizza. Seconde visioni che a Trieste rischiano di essere quasi delle prime. «Abbiamo 18 schermi ed escono meno film che a Udine. E quelli che escono finiscono in salette che ci vuole coraggio a chiamare cinema», attacca Brizzi. Nella sua lettera aperta non fa nomi, ma lancia un’accusa pesante. «Con grande rammarico - conclude - dobbiamo constatare un accanimento da parte di altre realtà cinematografiche per far si che l’Ariston non possa tranquillamente sopravvivere. La concorrenza nel cinema c’è sempre stata, ma dev’essere costruttiva. C’è invece chi cerca di distruggere, ma alla fine a pagarne il prezzo sono sempre gli spettatori». Il riferimento è all’Egm Cinema di Eolo Giorgio Maggiola che gestisce l’Ambasciatori, il Nazionale, il Giotto, il Fellini e il Super. «I migliori film nei migliori cinema nel cuore della tua città» recita lo slogan.

I film d’autore infatti escono spesso in doppie visioni al Piccolo Giotto (la sala dinamica modello autobus dove è stato proiettato persino “The Tree of Life” di Terrence Malick) e al “Fellini” (come “Cesare deve morire” dei Taviani, vincitore a Berlino, che si può vedere con la colonna sonora del traffico di via Gatteri). Cinema d’essai nei fine settimana anche al Super che nei giorni feriali è un “luci rosse”. Si può vedere, ad esempio, “The Artist” sullo stesso schermo (e poltrone) dove sono passate pellicole come “La Festa delle chiappe” o “Sesso in montagna l’orgasmo ci guadagna”. E per l’Ariston? «Buona la seconda», verrebbe da dire.

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