Il presidente Berlusconi ha proclamato l’intenzione «di mettere in pratica molte delle idee di Giovanni Falcone» sulla giustizia. Far parlare i morti è operazione scorretta e nessuno può dire quale sarebbe oggi il pensiero di Falcone. Tanto più se si usa una formula (”separazione dell’ordine degli avvocati dell’accusa dall’ordine dei magistrati”) che Falcone non ha mai usato. Ma il merito della questione riguarda la separazione delle carriere. Effettivamente alcuni scritti di Falcone sul finire degli anni Ottanta sembrano ad essa decisamente favorevoli. Ma sono scritti che vanno ”storicizzati”. Nel senso che all’epoca non era ben definita la differenza fra separazione delle funzioni (il pm che non può diventare giudice e viceversa) e separazione delle carriere (pm e giudici reclutati con concorsi diversi; due Csm... In sostanza, due magistrature).
Oggi che la separazione delle funzioni è una conquista ormai irreversibilmente consolidata (per passare da una funzione all’altra occorre superare tutta una serie di ostacoli, di fatto spesso invalicabili, che negli anni `80 non erano neppure immaginabili), Falcone sarebbe forse soddisfatto e non chiederebbe altro. Ma far parlare i morti - ripeto - è scorretto. Limitiamoci allora a rilevare che Falcone scriveva ben prima che la storia del nostro Paese subisse una radicale curvatura. Prima che Tangentopoli svelasse una corruzione sistemica. Prima che Mafiopoli (grazie anche al radicale mutamento di clima che proprio le stragi del `92 favorirono) provasse anche a livello giudiziario collusioni fra mafia e politica di gravità inaudita.
Prima che si scatenasse contro i magistrati onesti aggressioni senza tregua. Prima delle ricorrenti campagne volte ad ottenere (in un Paese dove il sistema giudiziario è sfasciato) non più, ma meno giustizia, tutte le volte che il controllo di legalità voglia occuparsi anche di certi interessi.
Falcone scriveva prima che tutto questo accadesse. E ciò che è accaduto dopo consente di dire che la separazione delle carriere (non delle funzioni!) Sarebbe - in Italia - una jattura. Perché separazione delle carriere inevitabilmente significa che la politica, in modo o nell’altro, può dare ordini, direttive o indicazioni ai pm. In altri Paesi, di democrazia consolidata, ciò avviene senza drammi. Perché la politica rispetta la giurisdizione e sa bonificare se stessa quando necessario. Ma da noi la situazione è diversa: corruzione, collusioni, mala-sanità, mala-amministrazione e via elencando ci affliggono ancora pesantemente, mentre si è trasversalmente diffusa la tendenza di certa politica ad autoassolversi pregiudizialmente, accusando di complotto o politicizzazione la magistratura ogni volta che - facendo il suo dovere - debba occuparsi di politici o amministratori pubblici.
E allora, constatata l’esistenza di questa politica (che non è tutta la politica, ma spesso è quella che sembra contare di più), lasciare che sia proprio essa a stabilire che cosa la magistratura deve o non deve fare sarebbe quantomeno singolare. Invece di riforme dei giudici che li ammorbidiscano favorendo specifici interessi, servono riforme della giustizia che rendano il sistema efficiente nell’interesse di tutti. Perseguire l’interesse generale: ecco l’insegnamento che la vita ed il sacrificio di Giovanni Falcone indiscutibilmente offrono. Ecco anche la giusta chiave di lettura dei suoi interventi.
Oggi che la separazione delle funzioni è una conquista ormai irreversibilmente consolidata (per passare da una funzione all’altra occorre superare tutta una serie di ostacoli, di fatto spesso invalicabili, che negli anni `80 non erano neppure immaginabili), Falcone sarebbe forse soddisfatto e non chiederebbe altro. Ma far parlare i morti - ripeto - è scorretto. Limitiamoci allora a rilevare che Falcone scriveva ben prima che la storia del nostro Paese subisse una radicale curvatura. Prima che Tangentopoli svelasse una corruzione sistemica. Prima che Mafiopoli (grazie anche al radicale mutamento di clima che proprio le stragi del `92 favorirono) provasse anche a livello giudiziario collusioni fra mafia e politica di gravità inaudita.
Prima che si scatenasse contro i magistrati onesti aggressioni senza tregua. Prima delle ricorrenti campagne volte ad ottenere (in un Paese dove il sistema giudiziario è sfasciato) non più, ma meno giustizia, tutte le volte che il controllo di legalità voglia occuparsi anche di certi interessi.
Falcone scriveva prima che tutto questo accadesse. E ciò che è accaduto dopo consente di dire che la separazione delle carriere (non delle funzioni!) Sarebbe - in Italia - una jattura. Perché separazione delle carriere inevitabilmente significa che la politica, in modo o nell’altro, può dare ordini, direttive o indicazioni ai pm. In altri Paesi, di democrazia consolidata, ciò avviene senza drammi. Perché la politica rispetta la giurisdizione e sa bonificare se stessa quando necessario. Ma da noi la situazione è diversa: corruzione, collusioni, mala-sanità, mala-amministrazione e via elencando ci affliggono ancora pesantemente, mentre si è trasversalmente diffusa la tendenza di certa politica ad autoassolversi pregiudizialmente, accusando di complotto o politicizzazione la magistratura ogni volta che - facendo il suo dovere - debba occuparsi di politici o amministratori pubblici.
E allora, constatata l’esistenza di questa politica (che non è tutta la politica, ma spesso è quella che sembra contare di più), lasciare che sia proprio essa a stabilire che cosa la magistratura deve o non deve fare sarebbe quantomeno singolare. Invece di riforme dei giudici che li ammorbidiscano favorendo specifici interessi, servono riforme della giustizia che rendano il sistema efficiente nell’interesse di tutti. Perseguire l’interesse generale: ecco l’insegnamento che la vita ed il sacrificio di Giovanni Falcone indiscutibilmente offrono. Ecco anche la giusta chiave di lettura dei suoi interventi.
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